ROMA – A Roviano i bombardamenti cominciarono nel novembre 1943, nell’approssimarsi del Natale. Mia zia Michina Benedini (in realtà Domenica), sposata col commerciante Carosi di Tivoli, era allora sfollata lì, a Roviano – un borgo abitato dai Colonna, dai Brancaccio e altri signorotti rinascimentali, tranquillo ed agricolo fin dall’età dei preromani Equi – con i quattro figli piccoli, dopo il rovinìo della casa paterna. Si era sistemata coi bambini in un ampio spazio conventuale – mi pare fosse l’asilo della chiesetta di S.Antonio, prossima alla Galleria della Ferrovia – insieme con altre donne e bambini.
Un giorno, mia zia aveva messo sul fuoco una gran pentola di fagioli, per sfamare tutti, poiché la fame cominciava già a farsi sentire nella popolazione, quand’ecco i piccoli tornare a casa dalla scuola (una scuola di guerra), impauriti e agitatissimi. Era volata la notizia che di lì a poco le truppe alleate (non tedesche) avrebbero bombardato anche Roviano, dopo Roma e il suo terribile bombardamento del 19 luglio ’43. Zia Michina inizialmente non diede importanza alla cosa: però, dinanzi all’insistenza dei bambini e alla palese paura dipinta nei loro occhi sbarrati, si persuase anche della necessità di una assai rapida fuga. Raccolse con sé lo strettissimo necessario e coi figli prese la via dei boschi. I fagioli sul suo focolare non ebbero nemmeno il tempo di bruciarsi: gli aerei solcarono il cielo coi loro fragori, sganciando le bombe sulle teste dei fuggitivi.
La zia Michina, raccontando, urlava come allora: “Figli miei, tutti a terra!”. E a me: “Zittati figlia, zittati!”, quasi a dirmi che io non potevo nemmeno immaginare cosa avessero vissuto loro. Ma il primo miracolo accadde allora, perché le bombe che parevano sganciate sui fuggiaschi, in realtà cadevano molto più indietro. Però il terrore non cessava: nella notte sopraggiunta, i fasci di luce che tagliavano il buio per identificare le posizioni tedesche, avvertivano di una prossima avanzata bellica. La famigliola passò la notte all’addiaccio: ma all’alba cominciò a sentire le voci dei paesani, che li cercavano e li chiamavano da più parti.
La mamma e i quattro figli, recuperati senza uno sgraffio, tornarono al ricovero. Gravava il silenzio su una pianura immota, dove non esistevano più né chiesa, né asilo, né vita umana. La zia Michina, camminando e piangendo sulle macerie, vide un filo di fumo: proveniva da una sua immagine, in bianco e nero, del Sacro Cuore di Gesù, che dopo varie ore fumava lentamente, ai bordi, senza bruciarsi. Allora ella capì il segno della grazia ricevuta, il dono della vita per sé e i figli: era il loro Natale, non intaccato dalla guerra. Mai nessun Natale fu per lei più bello e intenso di quello. L’immagine sacra stette sempre a capo del suo lett e, dopo la sua morte, a capo del letto della figlia Maresa. La sua immagine gemella – un Sacro Cuore della Madonna – passò nelle mani di sua sorella, ossia mia madre Maria, ed infine in quelle di chi ne scrive.
Paola Pariset
Nell’immagine di copertina, Roviano dopo il bombardamento del ’43
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