ROMA – Zerocalcare ci porta dal pensiero alla consapevolezza, ci sveglia dal torpore, ci toglie il velo di Maya. Ecco perché questo individuo smunto e triste, che parla come un coatto di borgata ma ha un animo tenero all’inverosimile, in un modo o nell’altro piace a tutti e, come protagonista della serie “Strappare lungo i bordi”, sta spopolando su Netflix. Con le sue elucubrazioni visionarie ed esplosive permette di guardarci dentro senza filtri e di specchiare noi stessi in ogni sua esperienza. Per esempio quella del treno, su cui sale in piena estate ritrovandosi in un vagone con l’aria condizionata eccezionalmente alta. Zerocalcare non la sopporta, si lamenta, chiede alle altre persone come facciano a resistere, si gira, cerca interlocutori, qualcuno che lo appoggi, che protesti come lui. Però no, trova solo gente tranquilla, che si è adattata alla temporanea situazione, qualcuno che si è addormentato, che legge. Niente di che e per questo la sua solitudine è tanta.
Roba da diventarci matto: quel freddo lo sente solo lui e ne è infastidito, disturbato, mentre gli altri passeggeri trovano tutto sommato quella temperatura accettabile. Ciò lo fa contrariare ancora di più. Allora, in cerca di una temperatura più confortevole, se ne va al bagno. E qui avviene l’illuminazione quando il suo alter ego, un armadillo, pone una semplice domanda: “Ma tu lo sai perché stai a parlà ossessivamente de sto freddo, sì?”. Zero a questo punto, dopo aver cercato tante insulse giustificazioni poco convincenti, mormora la sua confessione: “Perché sennò devo pensà a dove stamo a annà”. L’armadillo annota il suo commento su un taccuino da psicanalista: “A posto così – scrive – il soggetto è consapevole e può continuare a interpretare la sua pantomima”.
In poche battute questo gigante immaginario che mette la pulce nell’orecchio a Zerocalcare, gli fa fare strike di una intera generazione di gente arrabbiata, la nostra. Ammettendo il suo disorientamento, il riuscitissimo personaggio uscito dalla testa di Michele Rech ci svela che non è il freddo a farlo parlare, sparlare, inveire, lamentarsi ma il non avere obiettivi. Ciò che lo irrita è la rabbia ma quella c’era già prima che egli salisse sul treno perché essa è esistenziale: nasce dalla frustrazione, dai fallimenti, da una scarsa autostima e da relazioni insoddisfacenti. Tutta roba che la consapevolezza – ossia l’armadillo – porta in superficie e che ci appartiene a tutti.
La nostra società è quella di chi esce la mattina e al primo semaforo rosso si mette a suonare il clacson, fa le corna o mostra il dito sorpassando chi intralcia la sua corsa, dice parolacce al primo che non gli dà la precedenza allo stop o litiga quando, impaziente, sta in fila alla cassa del supermercato. Michele Rech, probabilmente, non è a digiuno di psicanalisi e percorsi di consapevolezza ma qui, in particolare, la citazione ad Eckardt Tolle, il maestro spirituale più famoso d’America, appare chiara. Nel suo “Un mondo nuovo” (Oscar Mondadori, 2010), l’autore racconta un momento della sua gioventù quando era studente di psicologia e ogni giorno incontrava una donna sul tram che parlava da sola e si lamentava, inveendo contro qualcuno che non c’era. Tolle racconta che allora l’aspetto di quegli incontri che lo colpì di più fu lo scoprire che, dopo queste performance, la donna entrava tranquillamente in un ufficio, come avesse una maschera, e conduceva una vita normale. “Non mi rendevo ancora conto – scrive Tolle – che il pensiero privo di consapevolezza è il problema principale dell’essere umano”.
Non è facile leggere il libro di Tolle senza accorgersi di essere noi quella signora infuriata sul bus, impegnata nel suo sfogo quotidiano per andarsene poi al lavoro come se niente fosse. Siamo noi anche quando Zerocalcare dà di matto per un motivo banale. Ma lui ha la coscienza – il suo armadillo – che lo riporta in carreggiata, noi invece il più delle volte ci impuntiamo per affermare le nostre verità, le vorremmo imporre e per questo ne parliamo e ne parliamo ancora fino a farci soverchiare dalla nostra stessa voce e non sentiamo altro, neanche la nostra coscienza che vorrebbe chiamarci alla ragione. Ma Zerocalcare punta diretto sulle nostre debolezze, sui nostri vizi ed è capace di “svegliarci” portandoci, come sostiene Tolle, dal pensiero alla consapevolezza.
Il monito di entrambi – Tolle e Rech – è lo stesso: in questa società che va di corsa e senza una meta, fermiamoci ogni tanto per capire il motivo per cui ci lamentiamo del freddo: potrebbe non essere quella la causa del nostro malessere. Forse, come Zerocalcare, semplicemente non sappiamo dove stiamo andando.
Gloria Zarletti
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