MILANO – Lo scrittore spagnolo de “L’ombra del vento”, Carlos Ruiz Zafon, è morto alcuni giorni fa: aveva 55 anni ed era malato di cancro da diverso tempo. La notizia è stata data dal suo editore spagnolo, Planeta: “Oggi è un giorno molto triste per tutta la casa editrice: nei vent’anni in cui ci siamo conosciuti e abbiamo lavorato insieme, si è creata un’amicizia che trascende il rapporto professionale”. Cresciuto negli anni Sessanta a Barcellona, non lontano dalla Sagrada Familia, aveva sempre mantenuto un legame fortissimo con la città, nonostante negli ultimi anni si fosse trasferito in California per lavorare per il cinema, altra sua grande passione, come sceneggiatore.
Autore di numerosi articoli sulla stampa nazionale spagnola soprattutto sui periodici El País e La Vanguardia e grande scrittore. La sua opera narrativa è stata tradotta in numerose lingue e le sue opere sono ben presto diventate dei bestseller. Oltre alla serie “Il cimitero dei libri dimenticati”, ciclo di narrazioni composto da vari volumi editi in più di un decennio, 2002-2016, fu autore di un ciclo narrativo per ragazzi dal titolo “La trilogia della nebbia”.
Ricordare Zafón significa rievocare le atmosfere suggestive, intriganti, oniriche e struggenti di uno straordinario romanzo d’esordio come “L’ombra del vento” (2001, Premio Barry 2005 come miglior opera prima). Il romanzo parte da una mattina del 1945, quando il proprietario di un modesto negozio di libri usati conduce il figlio undicenne, Daniel, nel cuore della città vecchia di Barcellona al Cimitero dei Libri Dimenticati, un luogo in cui giacciono migliaia di libri di cui il tempo ha cancellato il ricordo. Qui Daniel entra in possesso del libro “maledetto” che cambierà il corso della sua vita: verrà introdotto in un labirinto di intrighi legati alla figura del suo autore e da tempo sepolti nell’anima oscura della città. Un romanzo in cui i bagliori di un passato inquietante si riflettono sul presente del giovane protagonista, in una Barcellona dalla duplice identità: quella ricca ed elegante degli ultimi splendori del Modernismo e quella cupa del dopoguerra. “L’ombra del vento” è stato il primo bestseller spagnolo della sua generazione ad avere un successo commerciale mondiale, insieme alla “Cattedrale del mare” di Ildefonso Falcones. Dal romanzo è nata una quadrilogia intitolata “Il Cimitero dei libri dimenticati”, che dopo “L’ombra del vento” è proseguita con “Il gioco dell’angelo” (2008), “Il prigioniero del cielo” (2012), concludendosi con “Il labirinto degli spiriti” (2016), tutti editi da Mondadori e tradotti da Bruno Arpaia. I quattro volumi insieme fanno comprendere questa sorta di gioco ad incastro, intrecci, storie dentro altre storie, come se si fosse di fronte ad un’infinita matrioska spagnoleggiante.
Nel primo tomo della quadrilogia, “L’ombra del vento”, già lo scrittore metteva in scena gli ingredienti che avrebbero reso così popolare la sua scrittura: utilizzando l’espediente narrativo del libro ritrovato, la trama mescolava fantasy, realismo ed elementi gialli. Il suo esordio, che risale al 1993 con Il principe della nebbia”, è un romanzo per ragazzi a cui fanno seguito “Il palazzo della mezzanotte” e “Le luci di settembre”, libri in cui confluivano accenti immaginifici e fiabeschi. La narrativa era stata il punto di approdo dopo una bella carriera nel mondo della pubblicità, prima come copywriter e poi come direttore creativo. Sul quotidiano spagnolo El País, in un’intervista del 2008, aveva lui stesso tracciato un legame tra queste esperienze: “La pubblicità è stata il mio primo lavoro, avevo 19 o 20 anni: ho iniziato come una copy e sono finito come direttore creativo; ho imparato molto e ho fatto una buona vit … Molti scrittori, come Don Delillo, hanno lavorato nella pubblicità, perché tocca la letteratura. Impari a vedere la lingua, le parole come immagini. È lo stesso per i romanzieri che sono stati giornalisti. Michael Connelly, un autore che mi interessa molto, era un cronista prima di diventare scrittore di gialli, e senza quella formazione la sua letteratura sarebbe stata molto diversa, senza dubbio. Ma ciò che influisce sul mio lavoro e non si dice mai è il mio interesse per il cinema”.
“Vi faccio entrare a Barcellona da una porta sul retro – ha sempre raccontato -. La mia infanzia è stata circondata da libri e scritti. Fin da piccolo sono stato affascinato dallo storytelling, dalla parola stampata, dal linguaggio, dalle idee”, spiegò alcuni anni fa in un’intervista a Time. “Non avevo accesso a una libreria meravigliosa come quella del libro, ma per molti versi quello che ho sempre fatto è inventare storie e personaggi. Ancor prima che imparassi a leggere e scrivere, raccontavo storie. Ho sempre saputo che sarei diventato uno scrittore perché non c’era altra scelta. Sono sempre stato affascinato dal fatto che potessi prendere carta e inchiostro e creare mondi, immagini, personaggi. Sembrava magia”. Parlando della sua produzione letteraria aveva affermato: “Ogni libro, ogni tomo che vedi ha un’anima. L’anima di chi l’ha scritto e l’anima di chi l’ha letto, vissuto e sognato”. Sicuramente tutti i suoi romanzi hanno il potere di toccare le corde intime dei sentimenti del lettore trascinandolo in un mondo fantastico, ricordando ad ognuno che “c’è un libro sepolto in ciascuno di noi, bisogna solo incontrarlo, amarlo e farlo rivivere”.
Margherita Bonfilio
Bell’articolo.