/, Sezione 2/Viterbo e S. Rosa: legame d’amore

Viterbo e S. Rosa: legame d’amore

di | 2018-08-27T00:23:14+02:00 26-8-2018 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

VITERBO – “Santa Rosa, avanti”: al secco comando del capofacchino l’imponente mole di un “campanile”, alto una trentina di metri e pesante una quarantina di quintali, con passo cadenzato si mette in movimento e avanza fra le strade e le piazze del centro storico di Viterbo fendendo il buio della notte con le sue mille fiammelle, accompagnata soltanto dal bagliore dei flash che al suo passaggio illuminano la notte. E’ il miracolo che si ripete da secoli la sera del 3 settembre. E’ la Macchina di Santa Rosa (nella foto, a sinistra), trasportata da circa cento uomini, i “facchini”, che la sostengono sulle spalle e la trasportano su un percorso di poco più di un chilometro.  La figura di Rosa oscilla sopra i tetti e sembra che la Santa guardi la sua città con la benevolenza tipica di chi protegge perché ama e la sua Viterbo la contraccambia donandole tutto l’affetto di cui è capace attraverso gli sguardi estasiati, ammirati e a tratti devoti delle migliaia di persone che assistono al Trasporto.

Rosa nacque a Viterbo il 9 luglio del 1233 da umili genitori che la fecero crescere secondo i principi cristiani di ispirazione francescana, la piccola aveva una malformazione congenita, cioè la mancanza dello sterno, patologia che di solito conduce alla morte nei primissimi anni dell’infanzia ma lei, miracolosamente, riuscì a vivere fino a diciotto anni dedicando la sua esistenza all’amore per Cristo. Il contesto storico-politico in cui la giovinetta visse fu decisamente turbolento: i catari (un gruppo di eretici che, all’inizio, ebbe principalmente diffusione nella Francia meridionale) mettevano in discussione le basi e i principi della Chiesa e di conseguenza la sua stessa esistenza come Chiesa di Cristo, gli stessi erano fomentati dall’imperatore contro il Papa. E poi i guelfi e i ghibellini che a Viterbo, come in altre città medioevali, sostenevano rispettivamente il Papa e l’imperatore Federico II e il conflitto fra questi due poteri accendeva gli animi a tal punto che gli scontri cruenti fra i contendenti delle due opposte fazioni erano all’ordine del giorno.

La giovane e minuta Rosa, vestita poveramente, in questo contesto, percorreva le vie di Viterbo “cum cruce in manibus” invitando tutti ad essere fedeli a Gesù, a pregare, ad imitare la Vergine Maria e a restare fedeli alla Chiesa. In poco tempo, quella fragile giovinetta divenne una vera spina nel fianco di Federico II e dei ghibellini suoi sostenitori, nonché dei catari che temevano che le predicazioni di Rosa dessero nuovo vigore ai guelfi tanto da indurli a tentare una rivolta nei confronti dell’imperatore con il conseguente intervento armato dello stesso: un evento che avrebbe arrecato grave danno alla città. Fu cosi che il podestà ghibellino, su pressione di alcuni notabili, ordinò l’esilio della giovane unitamente alla sua famiglia. L’allontanamento, per fortuna, fu di breve durata perché la morte di Federico II (avvenuta il 13 dicembre 1250 e preannunciata a Rosa da un sogno premonitore) consentì ai guelfi di riprendere il potere, preparando il ritorno del Papa e di fatto favorendo la fine dell’esilio della giovane e della sua famiglia.

Sulla vita e le opere di Rosa, gli elementi veritieri ed attendibili sono frammisti ad altri leggendari, verosimili ma non documentati. Di certo sono tre le fonti da cui si possono attingere notizie sulla giovane santa.
Secondo Mario Scudu, salesiano nonché teologo e filosofo, la prima fonte è un documento di Papa Innocenzo IV del 1252 che ordinava di raccogliere materiale sulla ragazza, fatti, testimonianze, racconti delle sue virtù e dei miracoli che le si attribuivano e che erano diventati di dominio pubblico. Il tutto in vista di una futura canonizzazione che poi non si realizzò. La seconda, solo in parte pervenuta, viene chiamata Vita Prima scritta in latino da autore anonimo e redatta, probabilmente, dopo l’ordine di Innocenzo IV. In essa si narrano le vicende di Rosa, circoscritte agli ultimi due o tre anni di vita con testimonianze della madre e di altre persone riguardanti anche gli ultimi giornidella giovane che morì il 6 marzo 1251, probabilmente a causa della tubercolosi. Terza ed ultima fonte è la Vita Secunda che trae elementi dalla Prima e racconta la dura penitenza della giovane prima della sua predicazione fatta nell’ultimo anno di vita.

Rosa voleva farsi suora e fece richiesta per entrare nel convento delle Clarisse che non la accolsero motivando il rifiuto con il fatto che il convento era al completo: in realtà, probabilmente, la piccola Rosa non fu accolta perché era di salute cagionevole e molto povera ma lei predisse alle sorelle che la rifiutarono che in seguito sarebbero state felici di avere da morta colei che non volevano da viva.

La predicazione di Rosa fu dunque quella di una laica e non di una religiosa, non predicò contro nessuno: né contro i catari, poiché non aveva né autorizzazione per farlo e una preparazione teologica e culturale adeguata, né  contro i ghibellini della città: non fece nessuna azione contro nessuno perché la sua non fu una militanza politicamente schierata. Ha scritto uno studioso, Padre G. Abate, che l’apostolato di Rosa fu di natura religiosa e non religioso-politica. La sua fu un’azione di una profonda credente e non di una politicante, con le sue predicazioni di fervente cristiana di ispirazione francescana lei esortava  tutti ad essere fedeli a Cristo e al Papa.

Rosa morì nel 1251, ma la sua santità dovette aspettare alcuni secoli prima di essere riconosciuta. Fu grazie all’opera del cardinal Baronio storico della Chiesa e amico di san Filippo Neri, che il nome di Rosa fu inserito nel Martirologio Romano con la data di ricorrenza del 4 settembre (oltre che patrona di Viterbo, lo è anche della Gioventù Cattolica Femminile e dei fiorai). Secondo Enrico Menestò, docente di letteratura latina e medioevale, la breve ed intensa esperienza spirituale di Rosa, a prescindere dell’alveo in cui la stessa è maturata, fa della giovane ragazza di Viterbo una delle più significative figure della santità laica femminile.

Il corpo di Rosa riposa in quello che fu il convento di San Damiano, ora a lei intitolato, dove il 4 settembre 1258 Papa Alessandro IV, a cui era apparsa per ben tre volte in sogno, ne ordinò la traslazione che avvenne dopo la riesumazione del corpo (che fu trovato incorrotto) della giovane donna dalla nuda terra, per portarlo dalla campagna antistante la Chiesa di Santa Maria in Poggio (oggi Chiesa della Crocetta), dove era stato seppellito per circa sei anni, proprio nel convento delle clarisse o damianite (come Rosa chiese in sogno al Papa), che non la vollero da viva ma, come da lei stessa preannunciato, la accolsero con devozione da morta, onorate dal prestigio e dal lustro che da allora fino ad oggi Santa Rosa continua a donare al monastero e alla Chiesa con l’esempio della sua santità.

Silvia Fornari

Nella foto di copertina, il Trasporto della macchina di Santa Rosa a Viterbo

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi