PERUGIA – Che sia, a buon diritto, tra gli dei (lui che si dichiara ateo) della musica leggera non solo italiana, lo dicono i numeri: 34 album pubblicati, 191 canzoni scritte e musicate, 40 milioni di dischi venduti. E, in aggiunta, il record di spettatori paganti ad un suo concerto: i 225.125 presenti nel luglio del 2017 a Modena. Senza contare i 450.000 che assistettero ad una sua esibizione, gratuita in questo caso, a Catanzaro.
Vasco Rossi, detto Blasco, alle porte dei 70 anni (li compirà il prossimo 7 febbraio) è un mito vivente. Pochi giorni fa ha presentato il suo ultimo lavoro “Siamo qui”, che già si annuncia un successo. Ne ha fatta di strada il ragazzino di Zocca, borgo dell’Appennino emiliano, che aveva cominciato ad appena 12 anni a strimpellare la chitarra, donatagli dai suoi: mamma Novella Corsi e papà Carlino (Giovanni Carlo, all’anagrafe), camionista. Un anno dopo, a Modena, Blasco aveva vinto il concorso canoro “L’usignolo d’oro” ed a 14 anni aveva messo su un gruppo, i “Killer” (con nome ben presto mutato in un meno aggressivo “Little boys”). All’epoca frequentava ancora la parrocchia tanto da comporre, per il parroco del paese, una messa rock… A scuola l’alunno Rossi Vasco tirava a campare e, più per far contento il padre che per passione nello studio, era riuscito a conseguire il diploma di ragioniere.
A quel punto il salto, non senza conseguenze, da Zocca a Bologna. Da un ambiente contadino alla città ricca di stimoli e ribollente di cultura, per iscriversi all’università: prima, senza entusiasmo, ad Economia e Commercio, poi, con un pizzico di interesse personale, a Pedagogia. Ad otto esami dalla laurea, tuttavia, aveva abbandonato gli studi e l’ateneo. Lo appassionavano di più sia il teatro sperimentale (coltivato da attore e da regista), sia la musica (dee-jay nelle prime radio libere). In una intervista – datata – si gloriò, comunque, di aver completato la lettura di tutta la “Recherche” di Marcel Proust (“Sono uno dei pochi ad averla letta per intero”, sottolineò). Nel frattempo si abbeverava ai Rolling Stones ed ai Sex Pistols, perché la sua musa privata rimaneva pur sempre… Euterpe.
Non era tutta rose e fiori la vita di questo ragazzo di campagna approdato nella “Dotta”, all’epoca pullulante di Sessantottini aggressivi o sognanti, di contestatori, talvolta violenti e di avversari politici altrettanto, se non più, pronti alla violenza, sebbene lui si fosse tenuto a parte dai movimenti. Se all’inizio era stato in casa, ospite graditissimo, della zia, pian piano si era sganciato dalle pastoie parentali e si era ritagliato una esistenza più libera, autonoma, trasgressiva. Per immergersi e finire nel gorgo dell’alcol, delle donne, della droga. Il Venerdì Santo del 1984 i poliziotti lo arrestarono per possesso di 26 grammi di cocaina e Vasco trascorse 25 giorni di detenzione (di cui 5 in isolamento) a Rocca Costanza di Pesaro. Gli servirono quei giorni sofferti – almeno questa la versione dell’interessato – per disintossicarsi e per smettere di bere alcolici (almeno prima delle esibizioni).
Intanto la sua fama cresceva a dismisura. Si era trasferito in un capannone a Casalecchio di Reno per lavorare con maggiore agio e col suo gruppo di amici musicisti. Nel suo “loft“ aveva ulteriormente approfondito le letture filosofiche e sociologiche (da Kierkegaard ad Hegel fino ad Han, pensatore tedesco-coreano). Sosteneva – lui che aveva frequentato, controvoglia, l’istituto tecnico – che “tutti dovrebbero studiare al liceo classico o almeno allo scientifico per prendere conoscenza dei principi di filosofia e sociologia”. Probabile che si fosse reso conto di come la società si fosse imbarbarita. Che la gente si esprimesse per slogan, in maniera non solo elementare ma acritica, senza lo sforzo di un ragionamento basato sullo sviluppo tesi-antitesi-sintesi. E priva, ancora, di una visione profonda, immersa solamente nel narcisismo, nella futilità, nell’apparenza. Forse Blasco aveva già metabolizzato “Avere ed essere ” di Erich Fromm. Non per nulla canta un verso nell’ultimo album che recita: “A nascondere quello che sei dentro quello che hai”.
Nella seconda metà degli anni Ottanta gli arrivarono due figli, ad un paio mesi di distanza uno dall’altro, da due compagne diverse. Entrambi giuridicamente riconosciuti. Il terzo glielo darà, nel 1991, la moglie Laura Schmidt, con la quale vive da trenta anni. A Perugia lo ricordano per l’affollato concerto, accolto entusiasticamente, del 2004 al Renato Curi. Come tutti, o quasi, Vasco presenta una personalità complessa, talvolta contraddittoria. Forse vittima anche di depressione, in alcune fasi della sua vita intensa. Nel 2011, lo ha rivelato lui stesso, è finito tre volte in coma. Riprendendosi, in tutte e tre le dolorose e preoccupanti situazioni, alla grande. Coltiva gli interessi più diversi: ama il calcio (interista sfegatato), il motociclismo (ha fondato il Vasco Rossi Racing Moto), la danza classifica (ha lanciato il Vasco Rossi Racing Projet). Ma è la musica la sua passione più profonda, coinvolgente, assorbente.
Nel presentare il suo ultimo album ha già annunciato la prossima tournée, fissata per il giugno 2022 con prima uscita a Trento. Ha perso, Blasco, con l’età che avanza, l’aria giovanile e scanzonata, i capelli lunghi, le pose provocatorie, talvolta sessiste; adesso il fisico ed il volto appaiono appesantiti. Ma gli occhi chiari restano acuti, vigili, puntati sul mondo circostante. Afferma di rimanere fedele a due principi: “l’onestà” e “la sincerità”. È stato, e rimarrà sicuramente, con la sua musica ed i suoi testi, una sorta di colonna sonora della vita di ciascuno di noi. Da “Albachiara” (la canzone votata come la più amata dagli ascoltatori nel quarto di secolo dal 1975 al 2000) a “Vado al massimo”, da “C’è chi dice no” a “Il mondo che vorrei”, da “Buoni e cattivi” a “Bollicine”, da “Liberi liberi” a “Vivere o niente”.
Vai, Blasco. sognavi una vita spericolata e piena di guai (intesi non solo nell’accezione negativa, ma pure come ricerca di novità continue, esperienze di ogni genere) e l’hai vissuta. Ora cade il tempo della raccolta, della riflessione, della gioia matura, anche. D’altronde sei, anzi… “Siamo qui”.
Elio Clero Bertoldi
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