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Il genio assoluto di Vincent Van Gogh

di | 2018-12-06T18:41:39+01:00 9-12-2018 6:30|Arte, Sezione 7|0 Commenti

NAPOLI – Van Gogh è sicuramente, assieme a Caravaggio, l’artista che negli ultimi anni ha fatto parlare di più di sé. E questo già fa pensare. Sarà per il fatto che molti si rivedono nella vita di questi geni (non perché uno sia genio ma perché la loro vita ha lasciato trasparire tutta la sofferenza e l’incompatibilità che ci portiamo dentro e che pochi come loro hanno avuto la capacità di manifestarla, solo loro hanno avuto l’abilità di esprimerla in maniera così stupefacente).

 

In particolare Van Gogh, dentro la sua irrequietezza, ha sottolineato la dipendenza totale dall’essere. Totale dipendenza da un luogo, da una realtà propriamente umana che lasciasse trasparire il divino nascosto. Come ha descritto mirabilmente Massimo Recalcati nel suo Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh “l’opera d’arte è grido, preghiera, apertura al mistero del mondo. Per questa ragione Van Gogh vuole essere pittore del sacro, pittore dell’assoluto. Con la precisazione doverosa che per lui il sacro, l’assoluto, il volto del santo non è mai accessibile attraverso una rappresentazione canonica-religiosa perché il volto del santo coincide con il volto del mondo. Van Gogh resta profondamente interessato al mistero di Dio che si fa uomo che vive fino in fondo la sua incarnazione che si dissolve scandalosamente in essa. Verbo che si fa carne, assoluto che abita il mondo. Per questo egli non dipinge mai le icone religiose della tradizione ma solo le cose del mondo, la natura, i volti degli uomini elevandoli alla dignità dell’icona”.

 

Tutta la vita di Vincent Van Gogh deve essere vista alla luce del rapporto intenso che aveva con il fratello Theo. Un rapporto talmente intenso, talmente vero, talmente bello che appena finisce la vita di Vincent, drammaticamente, a mille chilometri di distanza, finisce anche quella di Theo. Chi non desidererebbe una vita così intensa, carica di affetto, di condivisione intima di ogni sorta di accidente, di amore, densa di un rapporto epistolare (si contano circa ottocento lettere). Dal tubetto da comprare al colore da inserire su una tela, da un lavoro su di sé ad un aiuto continuo per essere voluto bene, compreso, amato. Per non essere considerato un fannullone, come dirà in una lettera.

 

Tanti l’hanno definito pazzo non comprendendo la difficoltà di Vincent ad assimilarsi alla banalità del mondo. Tanti, ancora oggi, non ne comprendono la valenza della sua ricerca estenuante di rapporti, di dialogo per sfuggire ad una timidezza galoppante, ad una non corrispondenza con la quotidianità che, seppur misteriosa, richiedeva un “partecipare”.

 

Ma lui c’era eccome, non sfuggiva certo agli impegni, alle cose, ai rapporti ma era, miracolosamente e drammaticamente già proiettato oltre, già ne intravedeva il senso e, nella mediocrità di chi lo circondava, non ne reggeva la normalità. Un genio. Come Giussani ne ha definito il significato. Un uomo che da pochi segni percepisce il legame con l’eterno, con il significato ultimo. Van Gogh era questo. Dietro le sue esternazioni anche violente nascondeva il desiderio del bene, del bello, dell’infinito. Nulla gli bastava. In ogni quadro dalla “Notte stellata” al “Riposo dei contadini”, ai diversi autoritratti; ogni opera, ogni pennellata serviva per manifestare ciò di cui aveva bisogno: l’eterno.

 

Non bastava più l’apparente che si mostra ai nostri occhi così come si mostrava ai suoi. Cercava il significato di tutto quello che viveva, voleva ardentemente penetrare nella carne di ogni cosa. La solitudine lo divorava. “Solo le stelle, guardandole, mi danno conforto e pace”, solo l’infinito fatto carne, solo il rapporto con il fratello gli dava speranza per qualcosa di grande. Ma era troppo distante. “Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? Talvolta la prigione si chiama: Pregiudizio, malinteso, ignoranza fatale, sfiducia, falsa vergogna. Solo un affetto profondo, serio, essere amici, fratelli, amare spalanca questa prigione, per grazia potente”. Solo un aldiquà denso di significato permette di percepire e godere del significato della vita.

 

Innocenzo Calzone

 

Nell’immagine di copertina, un quadro di Vincent Van Gogh

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine alla Scuola Secondaria di I grado presso l’Istituto Comprensivo “A. Ristori” di Napoli. Ha condotto per più di 13 anni il giornale d’Istituto “Ristoriamoci”. Partecipa e promuove attività culturali con l’associazione “Giovanni Marco Calzone” organizzando incontri e iniziative a carattere sociale e di solidarietà. Svolge attività di volontariato nel centro storico di Napoli con attività di doposcuola per ragazzi bisognosi; collabora con il Banco Alimentare per sostenere famiglie in difficoltà. Appassionato di arte, calcio e musica rock.

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