LONGARONE (Belluno) – La prima volta che salii sulla diga del Vajont fui affascinata dalla strada che da Longarone sale su, verso la montagna. “Un tubo dentro la montagna” dicevano i miei figli allora bambini e le feritoie facevano ricordare i buchi del formaggio svizzero. Arrivata su non riuscivo a capire bene dove l’acqua fosse stata contenuta in precedenza: un cumulo enorme di terra su cui era cresciuta la vegetazione riempiva l’enorme catino che prima, invece, era occupato dall’acqua. Poi d’un tratto, mentre camminavo, su un cartello lessi: “Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”.
Quel sasso, la frana del monte Toc, non era altro che il cumulo di terra su cui si poteva tranquillamente camminare. E l’acqua! Dov’ era l’acqua? Per trovarla bisognava salire un po’ più in alto, fino al lago del Vajont, oppure avvicinarsi al coronamento della diga e sentirla scorrere dalle aperture lungo i fianchi della montagna. Quel suono riecheggiante riempiva il silenzio del luogo: ancora oggi riesco a percepirlo, come quelle sensazioni che non scordi facilmente.
Nonostante le numerose persone, le scolaresche, che di continuo visitano il luogo, regna un silenzio assordante, lo stesso che si ascolta entrando in alcuni luoghi sacri, perché di luogo sacro si tratta: tutti quei nomi scritti sui massi, ogni sasso un nome, un’anima che in quella sera, 9 ottobre 1963 alle ore 22,39, salì in cielo, senza nessuna colpa. Per non parlare del cimitero di Fortogna, una distesa di croci bianche, nel cui ingresso si legge: “Prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria”.
Di chi è stata la colpa lo sappiamo bene, come pure sappiamo, ormai, per quali motivi e interessi fu costruita, anzi riempita a quel modo la più grande diga d’Europa per l’epoca.
Questa mia voleva essere solo una riflessione su quanto le tragedie possono rimanere impresse nel cuore delle persone, perché di ricordi indelebili si tratta, ricordi di una siciliana che in questi luoghi ha vissuto per diversi anni e dove ha conosciuto persone davvero speciali.
Rosa Rosano
Nella foto di copertina, la diga del Vajont
Lascia un commento