MILANO – Nel film “A Good Person” (Una brava persona, 2023) dopo lo scorrere dei titoli di testa, la voce di Morgan Freeman, che interpreta Daniel mancato futuro suocero ed appassionato modellista di treni, rileva come nel mondo in scala 1:87 tutto sia perfetto in “ordine e simmetria”. In questa costruita ed eterna staticità i vicini sono sempre gentili, gli innamorati finiscono con lo stare insieme ed i treni, senza mai deragliare dai binari, conducono i passeggeri verso i luoghi che hanno sempre sognato di raggiungere. Non ci sono disgrazie, errori, dolori come accade al contrario nella vita reale. Parte della critica ha sottolineato che il regista e sceneggiatore Zach Braff abbia ceduto in questo passaggio “alla più banale e sciocca retorica formale e narrativa”, ma verrebbe da obiettare che la vita è proprio così, fatta di luci e ombre, cadute e rinascite e che, pertanto, è inutile interrogarsi se la storia sia vera o inventata: è semplicemente viva.
L’intreccio, costruito in maniera alquanto favolistica, prende avvio da una scena idilliaca: una festa di fidanzamento con la prospettiva di un futuro felice e brillante, ma poi all’improvviso un incidente stradale fa precipitare tutto verso un baratro di dolore e disperazione. La giovane Allison (Florence Pugh), promessa sposa di Nathan (figlio di Daniel), è alla guida della sua auto e nello scontro muoiono i due futuri cognati; unica a sopravvivere, gravemente ferita, sola e lontana ormai da tutti comincia un lungo percorso verso la guarigione. Non c’è confine in questo buio tunnel tra sofferenza fisica, dolore psichico, strazio e senso di colpa, al punto che la giovane finirà col dover convivere con la sua personalità piagata e piegata dalla dipendenza da ossicodone.
Altrettanto drammatica la figura di Daniel, ex poliziotto con un passato pesante di alcolista violento, che deve prendersi cura della nipote orfana e finisce, nonostante tutto, col divenire guida silenziosa nella ricomposizione dei cocci della vita di tutti i protagonisti della sua famiglia, oltre che della sua e di quella di Allison. Il film ha i suoi punti forza soprattutto sulle riflessioni a cui induce; chi può essere definito quindi “una brava persona”: chi sceglie di non odiare oppure chi, dilaniato dal senso di colpa, si fa travolgere da una spirale autodistruttiva poiché si sente causa del dolore provocato agli altri? Nel dipanarsi della storia emerge prepotentemente l’impatto del lutto nella vita di quelli che restano; rielaborare e cercare di superare un distacco definitivo è un’operazione ardua e dolorosa.
Lo psicoanalista Massimo Recalcati in uno dei suoi ultimi saggi sul rapporto tra la vita umana e l’esperienza traumatica della perdita “La luce delle stelle morte” (2022) evidenzia come di fronte alla morte spesso si ricorra all’espressione “è scomparso”, a sottolineare la radicalità di una separazione in cui “c’è troppo dolore e tutto appare compromesso”. Tutti i personaggi compiono il “lavoro del lutto” ed alla fine riescono, in qualche modo, a restare vicini alle persone che hanno perso senza farsi fagocitare completamente dal dolore. Altro spaccato di devastante fragilità è quello delle dipendenze, mediato attraverso immagini di occhi arrossati e stralunati, corpi disfatti, vomito, ambienti e figuri equivoci, annientamento e degradazione della volontà. Allison ne verrà fuori vendendo l’orologio, unico oggetto/legame che il padre aveva lasciato a lei adolescente problematica, abbandonando la famiglia senza neanche un saluto; ora con il danaro ottenuto riuscirà a disintossicarsi in un centro di riabilitazione.
Commuove, infine, e coinvolge maggiormente la forza del perdono presente in tutti i personaggi ed il loro difficile percorso per imparare ad essere più indulgenti verso gli altri e se stessi per gli errori che inevitabilmente si commettono. Nell’attuale contesto sociale sempre più apatico ed anaffettivo si verificano episodi di violenza così drammaticamente uguali nel loro efferato rituale di ferocia; e sempre colpisce il perdono concesso talvolta dai congiunti delle vittime.
Per alcuni di loro questa scelta è supportata da una salda fede, altri sono mossi da un forte sentimento di umanità; è comunque un processo costruttivo, per quanto doloroso e faticoso, tanto che le ultime ricerche delle neuroscienze evidenziano quanto perdonare contribuisca ad aumentare l’autostima ed a sviluppare buone relazioni umane. L’ultima scena del film forza eccessivamente la chiusura di un cerchio intricato di eventi verso uno sfumato lieto fine: si sente lo stesso commento iniziale della voce fuori campo, mentre Allison ha tra le mani una lettera che Daniel le ha lasciato, prima di morire, proprio davanti al plastico del mondo riprodotto in scala 1:87.
Adesso c’è anche lei tra i personaggi in miniatura della famiglia e così finalmente riesce, grazie a quest’ultimo scritto, quasi un lascito morale, a cogliere il senso del tatuaggio “Amor Fati”, che aveva scorto sul braccio di Daniel durante il loro primo incontro e di cui aveva chiesto spiegazioni, senza avere risposta: la vita che il destino (fatum) assegna ad ognuno va sempre accettata e vissuta con e nonostante il suo carico di sofferenze.
Adele Reale
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