PERUGIA – Un prete comune, sebbene si sia guadagnato i galloni di principe della chiesa. Di cardinale, insomma. Così alla mano che, nonostante la porpora, lo chiamano ancora, semplicemente, direttamente, don Matteo (non quello televisivo, comunque). Un uomo col sorriso sempre stampato in volto, pronto ad ascoltare, ad accogliere, a dare una mano.
L’eredità del cardinale Gualtiero Bassetti alla presidenza della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) cade su Matteo Maria Zuppi, 66 anni, romano, arcivescovo di Bologna. Papa Francesco lo ha pescato tra una terna di nomi – decisi all’Hotel Hilton di Fiumicino dai vescovi riuniti -, nella quale figuravano pure il cardinale Augusto Paolo Lojudice ed il vescovo Antonino Raspanti.
É cresciuto, l’alto prelato, a pane e vangelo. Non solo perché il padre, Enrico, un giornalista dell’Osservatore Romano, militasse nel cattolicesimo sociale e si dedicasse all’apostolato missionario (svolto, per un periodo, anche in Assisi) e la madre, Carla Fumagalli, contasse su uno zio cardinale (Carlo Confalonieri, 1893-1986), ma perché lui stesso ha imboccato la strada della vocazione religiosa – novello Paolo sulla via di Damasco – con profonda convinzione, dopo aver collaborato da liceale, alla Comunità di Sant’Egidio. Un darsi agli altri per trovare se stesso.
Di lui tutti dicono un gran bene: i compagni di liceo, il Virgilio di Roma (tra i quali figurava David Sassoli, di cui ha celebrato i funerali); i conoscenti famosi (come Francesco Guccini, un laico); i reIigiosi (quali l’arcivescovo Vincenzo Paglia, che lo ebbe come vice in parrocchia a Santa Maria in Trastevere); i fedeli trasteverini e quelli di Torre Angela, tra i quali ha vissuto, nella capitale, la sua missione sacerdotale; i bolognesi, anche i non credenti, incantati da questo sacerdote che ha dichiarato la sua fede semplice e complessa allo stesso tempo: “Volere bene a Dio e al prossimo”. Senza contare la Comunità di Sant’Egidio, di cui è storico assistente ecclesiastico e all’interno della quale ha maturato la sua vocazione piena e sincera.
Pure catalogato come prete di strada, possiede, il nuovo presidente della Cei, lo stigma dell’intellettuale: è laureato in teologia alla Lateranense e in lettere e filosofia alla Sapienza (con una tesi sulla Storia del Cristianesimo). Una curiosità: venne ordinato sacerdote il 9 maggio 1981 a Palestrina, quattro giorni prima dell’attentato di Alì Agca a Giovanni Paolo II.
Questo prete sempre vicino agli umili ed agli ultimi, agli anziani ed ai bambini, ai drogati ed agli alcolizzati, ai carcerati ed agli emigrati, che nella “dotta” si muove in bicicletta, ha rivestito persino un ruolo, attivo e primario, di mediatore nella guerra civile in Mozambico, tanto da essere nominato “cittadino onorario” del paese africano, dilaniato da un conflitto interno feroce e sanguinoso, durato 16 anni e concluso con i patti di Roma dell’ottobre del 1992.
Eletto vescovo da Benedetto XVI nel 2012, arcivescovo di Bologna da papa Francesco nel 2015, sempre, dal papa argentino nel 2019, ottiene la porpora cardinalizia ed adesso perfino la presidenza della Cei, cioé la guida dell’assemblea permanente dei vescovi, che come compito vanta quello curare i rapporti con le istituzioni italiane e, soprattutto, di fornire orientamenti dottrinali e pastorali all’intero mondo cattolico.
Un prete di strada, che di cammino – assicurano molti esperti di affari religiosi – è disposto a farne compiere molto alla chiesa ed alla sua missione.
Elio Clero Bertoldi
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