PALERMO – Chissà se le nostre nonne e bisnonne, così esperte nei lavori a maglia, nella produzione di centrini all’uncinetto e persino nel creare pizzi e merletti con il tombolo, non intuissero già l’esistenza del legame tra l’uso sapiente delle mani e lo sviluppo della mente…
Alcuni ricercatori italiani del Centro Francese di Ricerche in Neuroscienze di Lione, coordinati dal professore Claudio Brozzoli, hanno dimostrato infatti che la manualità, specialmente l’uso della motricità fine, è strettamente connessa allo sviluppo del linguaggio, in particolare alla formulazione e produzione di frasi complesse. Per provare come queste attività utilizzino e potenzino le stesse risorse neurali, i ricercatori hanno effettuato Imaging (diagnostica per immagini) e Risonanze magnetiche ad alcuni volontari mentre posizionavano dei perni servendosi di una pinza e poi leggevano frasi complesse.
“C’è una zona del cervello che si attiva per entrambi i compiti: i cosiddetti ‘gangli della base’ – afferma il professor Claudio Brozzoli –. Tale area cerebrale è una struttura sottocorticale che comprende diversi nuclei; l’uso della motricità fine, in particolare, attiva il nucleo caudato anteriore e il cosiddetto ‘globus pallidus’. Sapevamo da tempo che linguaggio e capacità motorie sensoriali sono strettamente legate, ma nessuno aveva dimostrato che, nelle stesse persone, l’utilizzo di uno strumento e il ‘compito’ sintattico attivassero queste aree insieme”.
“L’Imaging e la Risonanza magnetica – continua il professore Brozzoli – hanno provato che trenta minuti circa di utilizzo di uno strumento manuale in modo piuttosto articolato e complesso portano a un miglioramento della performance linguistica. Cosa che non si verifica con il gruppo di controllo che non ha utilizzato la manualità fine con uno strumento. Abbiamo poi chiesto a un altro gruppo di partecipanti di allenarsi nella comprensione di frasi complesse dal punto di vista sintattico per vedere se il training linguistico potesse influenzare la capacità di maneggiare lo strumento. Anche in questo caso la nostra ipotesi è stata confermata. Tali risultati ci hanno permesso di dimostrare l’esistenza di un ‘transfer bidirezionale dell’apprendimento’ basato su alcune risorse neurali associate sia al comportamento manuale sia a quello linguistico. Il linguaggio è quindi associato a funzioni sensomotorie che un tempo si credeva fossero legate a capacità cognitive meno complesse. C’è stata quindi una rivalutazione dei circuiti sensomotori e della loro partecipazione alle funzioni cognitive di alto livello, come il linguaggio”.
“In una precedente ricerca, in alcuni partecipanti adulti avevamo già mostrato l’esistenza di una correlazione comportamentale tra l’utilizzo della sintassi nel linguaggio e la sintassi dell’azione associata all’uso di strumenti – dice ancora Brozzoli – In quell’occasione abbiamo potuto osservare che i soggetti che si dimostravano particolarmente abili nell’utilizzare uno strumento per spostare dei piccoli oggetti e manipolarli erano anche quelli più capaci di costruire delle frasi sintatticamente complesse. Questi risultati ci hanno spinti a ipotizzare che la capacità di integrare uno strumento nel proprio sistema motorio e quella di comprendere la sintassi nel linguaggio si basassero su alcuni meccanismi cognitivi comuni. Questa tesi sollevava un ulteriore interrogativo: se esistono delle risorse neurali in comune tra queste due abilità, allenarne una aiuta a migliorare anche l’altra?”.
L’ultima ricerca, che ha coinvolto 244 volontari di madrelingua francese, fornisce la chiara risposta affermativa al quesito.
Si auspica che scuola e società tengano conto di questi risultati. Perchè non ci si limiti a usare solo il pollice per scorrere immagini negli smartphone, ma si utilizzino entrambe le mani, con le dieci dita, per continuare a scrivere a mano, a lavorare ai ferri, all’uncinetto, per suonare uno strumento musicale, per adoperare con maestria pinze, tenaglie e ogni sorta di attrezzi.
Il sospetto che delegare tante azioni manuali ai robot può comportare una stasi delle nostre funzioni cerebrali c’era già… I ricercatori di Lione ce lo hanno confermato.
Maria D’Asaro
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