/, Sezione 2/Un “Abbraccio Forte”: aiuti verso l’Ucraina

Un “Abbraccio Forte”: aiuti verso l’Ucraina

di | 2024-02-09T19:05:01+01:00 11-2-2024 5:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

COMO – Che odore ha la guerra? Di fumo, metallo, decomposto, legno, dolore, paura, freddo. Acre di annientamento e desolazione. Di disinfettante, di chimico, non di gradevole detersivo profumato ma di DDT, quello proibito messo al bando perché fa male. In Ucraina serve per nascondere ciò che alle narici arriverebbe come morte. L’odore della povertà e della tristezza. Ma poi c’è l’odore del colore dei girasoli e dei tulipani viola, l’odore del calore di abbracci di pelle e gratitudine. Di quei sorrisi pieni che entrano nelle ossa diventando memoria del corpo. Ma anche “la terra dell’Ucraina profuma di verze”: a raccontarlo sono Marisa Nicoletti e Francesco Gini, giunti alla tredicesima missione nei luoghi in cui la guerra è l’ordinario: “Là dove c’era una città e ora c’è l’erba”.

Marisa Nicoletti e Francesco Gini

Alla guida di un camper insieme, uniti da sempre, sin da ragazzini, portano aiuti in quelle realtà dolorose di cui ormai non si parla quasi più. Lì dove ancora si combatte e l’alimentazione è composta da soli vegetali. Non ci sono più galline a fare le uova o bovini e ovini a donare il latte. Nei luoghi più vicini al fronte del conflitto si sopravvive così. Tra mercatini improvvisati con un grappolo d’uva e qualche patata venduta sul cofano aperto di un’auto. Così si vive da quel 24 febbraio 2022, lì dove si muore ancora di guerra e di stenti. E Marisa e Francesco, che la verità l’hanno sentita sulla pelle, appena possono partono e ripartono per andare a trovare i “loro amici”, perché ormai tali sono diventati. Perché quegli odori, colori, tocchi e umori non riescono più a cancellarli. E a fine febbraio partiranno di nuovo con il loro camper della speranza pieno di aiuti.

Ma perché la guerra profuma di verza? “Sì, è strano da spiegare, ma in alcuni quartieri (quelli delle città più vicine al fronte) si cucina quasi esclusivamente quella – spiega Francesco –. La sensazione, camminando per strada, è come se ci si trovasse in una cucina chiusa dopo che qualcuno ha bollito dei cavoli, un odore dolciastro e penetrante. Non posso dimenticare questa sensazione che ho provato in particolare dopo un bombardamento. Eravamo nelle zone più orientali. Un mix di bruciato, polvere da sparo e verze cotte”.

“Quelle terre martoriate – continua Marisa – hanno odori contrastanti. Alcuni forti e pungenti, dolorosi, li senti nell’aria e poi addosso. Ma poi ce ne sono altri che ti tornano in mente così all’improvviso e che sanno di buono. Sembra strano, ma sanno di buono. Sono quegli odori che ti ricordano un volto, una persona, un abbraccio. L’odore del legno dell’orfanotrofio, per esempio, l’ho ritrovato proprio qui vicino casa mentre ero insieme ad altre persone. Basta poco e… davanti ho un fiume di ricordi, quella gratitudine e quel tepore in mezzo al freddo che non si può spiegare. La mente è strana, riesce a trasportarti indietro facendoti sentire all’improvviso, ancora lì”.

Marisa campionarista tessile e Francesco impiegato magazziniere e volontario soccorritore della Croce Verde. Due persone normali. I classici vicini della porta accanto. La famiglia tipo. Lavoratori con un cane, Napoleone, e due figli poco più che ventenni: Andrea e Chiara. Eppure. Marisa sa cosa significa la guerra, lasciare la propria terra. No, non l’ha vissuta in prima persona ma l’ha vista attraverso gli occhi della mamma e della nonna istriane e quei ricordi, dopo le prime immagini della gente in fuga dall’Ucraina, si sono trasformati in verità storica. Un sentire di dovere fare qualcosa, l’impulso che era arrivato il momento di dare un senso, una continuità, di dare il proprio contributo. Rendere orgogliose le donne della sua vita. Le sue farfalle.

Marisa per giorni ha pensato che voleva partire, dopo le prime immagini di donne, anziani e bambini in fuga, voleva aiutare ma non aveva il coraggio di dirlo. Ma poi. “Ho raccontato come mi sentivo a Francesco e ai miei figli. Volevo, dovevo partire, dovevamo fare qualcosa – spiega – e con stupore, loro mi hanno subito detto di sì con entusiasmo. Non me l’aspettavo, pensavo mi prendessero per matta e invece Francesco aveva avuto lo stesso pensiero e Chiara e Andrea si sono subito mobilitati per creare le locandine e per organizzare il nostro primo viaggio, che pensavamo sarebbe stato l’ultimo, e invece, era solo l’inizio”.

E così è nato “Abbraccio Forte”: “E’ il nome con cui abbiamo battezzato i nostri viaggi. Cercavamo tutti insieme di trovare un qualcosa che desse il senso, non solo dell’aiuto, ma anche dello scambio. E cosa c’è di più vero e di concreto di un abbraccio che lega le persone”. Il logo delle missioni sono due anime che si stringono con i colori dell’Italia e dell’Ucraina, presente nelle locandine e nel mitico camper di famiglia, prima destinato ai viaggi di vacanza e adesso strumento di solidarietà. “L’Europa che attraversiamo – continua Francesco – in questi due anni ha cambiato più volte aspetto, è l’Europa meno turistica, più agricola, più povera. E’ quasi un tornare indietro nel tempo ogni volta che attraversiamo i confini durante tutto il percorso. Il verde non è il verde delle nostre montagne. E’ un verde più agreste, più rurale, più naturale. Ma anche le distese di girasoli hanno sfumature diverse, per non parlare poi dei tulipani, viola. E l’ultima volta poi che siamo andati verso fine ottobre mi ha sorpreso il Danubio, non più verde o blu, ma grigiastro. Ho pensato che anche il Fiume fosse triste perché sentisse la guerra”.

Ma come si vive ogni giorno in Ucraina? “Nelle zone più occidentali – prosegue – la situazione è quasi tornata alla normalità, ma più ci si avvicina alle zone di guerra, più cresce la desolazione ed è difficile anche muoversi con il camper. Non solo per le strade distrutte ma anche per il rischio di cosa può arrivare dal cielo. I supermercati, i negozi, i ristoranti… è tutto chiuso. Si sopravvive con quello che si riesce a coltivare, animali non ce ne sono più. E sono chiari i segni di un’alimentazione caratterizzata da un mono nutriente. Le medicine non arrivano, le fabbriche sono state bombardate, un antibiotico vale più di un diamante. Figuriamoci poi detersivi per l’igiene personale. Quello che per noi è scontato, per loro è straordinario”.

E poi “la difficoltà è riscaldarsi, non lavarsi. Perché il freddo è terribile e non si riesce nemmeno a recuperare la legna per non gelare, perché inoltrarsi nei boschi è pericoloso, si rischia la vita. In molte case non ci sono finestre e porte. Le hanno bruciate per scaldarsi, le tubature erano tutte ghiacciate e distrutte”. Francesco si ferma, fa un respiro e “capisci il senso del film Schindler’s list, quando ti trovi lì, vorresti solo dare di più, non sembra mai abbastanza perché ciò che per noi è normale, per loro è qualcosa di più. Un anello, un orologio vale dei pasti in più, vita in più”. “Ecco perché – sottolinea Marisa – quando noi arriviamo con il camper carico di cibo, prodotti, coperte, giocattoli la gente ci vede come se fossimo un miraggio”.

“Non posso dimenticare – continua con gli occhi lucidi – l’abbraccio intenso di una vecchietta che mi diceva frasi in una lingua sconosciuta. E poi una volontaria ha tradotto quelle parole miste alle lacrime: ‘Pregherò tutti gli angeli per te’ e io non posso non tornare da loro ogni volta. Lo devo a quelle preghiere, a quelle anime. E’ impressionante come anche le persone anziane ti cercano, si ricordano il tuo nome anche dopo mesi”. E non mancano anche gli aneddoti divertenti.

“Durante l’ultimo viaggio grazie a don Giusto abbiamo fatto uno scambio – sorridono con intesa i due coniugi – c’era arrivato del cibo scaduto da poco. Nelle confezioni c’era scritto da consumarsi preferibilmente con la data di quei giorni e noi non ce la sentivamo di portarlo a dei bambini. Ma non volevamo nemmeno buttarlo, così grazie a una dritta di don Giusto abbiamo trovato delle suorine che con gratitudine lo hanno preso per gli animali e in cambio ci hanno promesso delle uova. Qualche giorno prima del viaggio ci hanno donato quasi 800 uova che, incredibilmente, tutte imballate, sono arrivate intere alle famiglie ucraine che ci guardavano come se portassimo oro. E poi un’azienda ci ha regalato tanti salami e un’altra filoni di pane caldo e croccante. Portare beni di questo tipo, freschi, in zone dove il cibo è solo verdura ha un impatto indescrivibile. E questo vale mille volte di più di tutta la fatica, le attese per passare la frontiera tra mille controlli, la paura, il freddo, il rumore assordante dei bombardamenti”.

Ma non finisce qui, perché oltre a portare aiuti di ogni tipo, soprattutto alimentari e con difficoltà medicinali, la famiglia Gini ha fatto di più. Attraverso i loro racconti ha conquistato medici, infermieri, assistenti sanitari che ormai con regolarità si recano come un cordone attraverso “un’operazione di bontà” senza fine, per donare il loro sostegno ed esperienza in particolare negli orfanotrofi e ospedali pediatrici, in luoghi dove si trovano bambini che vivono la quotidianità seduti su una sedia, quasi immobili, perché oltre la guerra vivono la disabilità. Ed è nato così “Un Giusto abbraccio per Magal”, dove Giusto sta per don Giusto Dalla Valle che da sempre si prodiga per gli ultimi, gli ultimi più veri e Magal è la città in cui si trova un orfanotrofio dove “abbiamo portato dei pupazzi di cioccolata – racconta Marisa – e i bambini erano talmente felici che stavano mangiando anche la carta che li avvolgeva. Erano impazziti di gioia anche perché Francesco si è vestito da Babbo Natale. I bambini sono bambini, ti guardano, ti cercano, ti riconoscono e vogliono stringerti”.

Da dove arrivano gli aiuti e come aiutare? “Noi siamo una famiglia normale – precisa Marisa – non facciamo parte di nessuna associazione. Organizziamo tutto da soli, questo ci dà la possibilità di pianificare tutto in tempi stretti in base alle nostre disponibilità. All’inizio ci aiutavano amici e parenti ma poi si sono unite tante persone che si offrono per le spese. Noi raccogliamo cibo e beni di prima necessità e documentiamo tutto, perché per chi dona possa vedere il suo succo di frutta o dei biscotti o della cioccolata che fotografiamo magari tra le mani di un bimbo che sorride”.

Marisa e Francesco, detti anche la “famiglia orso” (nei loro viaggi ne hanno incontrato e fotografato più di uno), hanno anche portato i loro figli Chiara e Andrea in una delle prime missioni. Le missioni della prima ora, le missioni della gente in fuga. Della prima ondata. Volevano che anche i ragazzi vedessero e toccassero ciò che stava succedendo. Ma questa è un’altra storia. La storia delle persone che hanno incontrato, la storia di vita vissuta. Storia di camerate prima deserte e in poche ore colme di respiri stanchi, immagini di piedi sanguinanti, anziane stremate, 120 litri di latte finiti in poche istanti, zuppe e panche in una chiesa. A fine febbraio partiranno per una nuova missione e chi volesse partecipare può donare cibo e medicinali presenti nella locandina di Abbraccio Forte.

Perché se si è tanti basta poco.

Alessia Orlando

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi