AMATRICE (Rieti) – Sono trascorsi 25 anni dalla costituzione del Parco Gran Sasso Laga “un periodo in cui le trasformazioni sociali ed economiche non hanno subito grandi sussulti, fino a quando il devastante terremoto del 2016 non ha stravolto e mutato profondamente il volto dei piccoli borghi e la vita delle piccole comunità” scrive Paolo Piacentini nella premessa al libro “Le vie della transumanza – un patrimonio bio-culturale per la rigenerazione territoriale” a cura di Letizia Bindi (Palladino Editore). Il libro è la pubblicazione degli atti del convegno che si è svolto nel 2019 ad Amatrice, con la partecipazione di quasi tutte le realtà associative del territorio, presentata ad Amatrice l’ottobre scorso, grazie al sostegno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e il Comune di Amatrice.
La transumanza è recentemente stata iscritta nella lista dell’Unesco, come patrimonio immateriale dell’umanità. Questo riconoscimento costituisce un’ulteriore motivazione a proseguire sulla strada della conoscenza e della tutela di un aspetto fondamentale della nostra storia. Nell’introduzione ‘Il pastore davanti al ‘Don Minozzi’, Letizia Bindi tratta della memoria, perdita e rigenerazione sulla strada di Amatrice. Nella prima parte ‘Note di riflessione, passi di rigenerazione’ Marco Giovagnoli tratta I nodi dell’Appennino, Giovanni Gugg l’abbandono o rinascita, quando il paesaggio racconta il post terremoto, Silvia Pitzalis ‘Che cosa rivelano i disastri: riflessioni antropologiche a partire da una ricerca partecipata nelle Marche terremotate’. Nella seconda parte “Voci e punti di vista dal territorio’, Susanna Buffa relaziona su ‘Memoria orale e tradizioni musicali come fondamento della rigenerazione territoriale, Mario Ciaralli ‘Le vie della transumanza attraverso i secoli e il viaggio da Amatrice alla campagna romana’, Cristina Ianniello ‘Gli stazzi: uno studio sul versante occidentale dei Monti della Laga’, Tersilio Leggio ‘Transumanza e sviluppo economico della conca amatriciana tra XIII e XV secolo’, Roberto Marinelli ‘Tratturi e tratturelli tra la campagna romana e gli altopiani abruzzesi”, Umberto Massimiani ‘Amatrice: il valore della transumanza, Emma Moriconi ‘La transumanza collante di una comunità’, Armando Nanni ‘Comunità itineranti…sulle vie della transumanza’, Mario Polia ‘Lu colle sparticore’, Paolo Plini e Giancarlo Tondi ‘Aspetti naturalistici dei monti della Laga’, infine Francesca Sabatini con ‘Amatrice: storia e storie di una comunità elastica’.
“La notevole presenza di ovini nei nostri territori agli inizi del XX secolo ha avuto modo di svilupparsi già da decine di anni prima, soprattutto nei paesi a ridosso dell’alta valle del Tronto alle pendici dei Monti della Laga – scrive Mario Ciaralli -. Fin dalla prima metà dell’Ottocento, lungimiranti famiglie, favorite anche dal possesso di vasti terreni pascolativi, originarie in gran parte delle numerose ‘Ville’ alla destra del Fiume (dal paese di Preta, fino a San Tommaso, ai confini con l’accumolese), contribuirono con le proprie masserie ad un importante sviluppo sociale-economico e culturale dell’intero territorio montano”. Molti sentieri, come il sentiero Europeo E1, seguono i tratturi della transumanza, percorsi anche dai pellegrini, che affiancavano o intersecavano le vie consolari. “L’identificazione degli assi viari utilizzati nelle varie epoche, costituisce un groviglio difficilmente districabile, quando ci si inoltra nella viabilità secondaria – aggiunge Roberto Marinelli – che risulta però essenziale per la conoscenza dei flussi effettivi della transumanza; come un apparato venoso e arterioso, che ha portato linfa vitale per millenni lungo i fianchi della Penisola, in tutte le direzioni e in ogni luogo. Le vie delle pecore e della lana, percorsi di grandi attività commerciali, erano indicati come tratturi, tratturelli, bracci tratturali, secondo una precisa gerarchia legata ai flussi. La via più remota, attestata dalle fonti classiche e dall’archeologia, è quella che attraversa gli Appennini da nord a sud, lungo percorsi di ‘mezza costa’ e di cresta: è la via che dalla pianura romagnola risale, con diversi itinerari, le valli fino a Urbino, Fabriano, Camerino, ai valichi di Colfiorito di Foligno, per Pieve Torina e Visso, percorre i valichi dei Monti Sibillini, fino a Norcia, Cascia, Monteleone di Spoleto e Leonessa. Da Leonessa il tracciato, ancora perfettamente praticabile, supera i Monti Reatini, a Cima di Monti e a Passo La Fara, per raggiungere la Piana Reatina. Anche da Leonessa, come a Norcia e Cascia, c’era l’opzione del percorso orientale verso L’aquila: in questo caso attraverso la via di Posta, Borbona, Montereale e Amiterno”.
“A Rieti – sottolinea ancora Marinelli – gli antichi percorsi pastorali si dividevano a meridione verso la Campagna Romana; a occidente per le Maremme; a oriente, attraverso quella che in epoca romana fu la Via Claudia Nova, ci si collegava ai tratturi che dall’Abruzzo aquilano portavano al Tavoliere di Puglia. Proprio nella Piana Reatina questo antico percorso intersecava quella che nel medioevo era detta La Via degli Abruzzi: la lunga arteria univa Firenze a Napoli, passando per Arezzo, Perugia, Foligno, Spoleto, Arrone, Rieti, Antrodoco, L’Aquila, Popoli, Sulmona, Castel di Sangro, Isernia e Capua. Sulla Via degli Abruzzi confluivano i tratturi principali e secondari che collegavano gli opposti versanti dell’Appennino. L’altro asse viario fondamentale per l’attraversamento delle montagne è stata l’antica Via Salaria, con tutte le sue varianti, secondo le diverse epoche, che risale da Roma i colli della Sabina, fino a Rieti e l’intera Valle del Velino, al valico di Torrita e percorrere la Valle del Tronto. Per il territorio di Amatrice e per le sue transumanze, la Salaria è stata sempre un punto di riferimento, con tutti i diverticoli che ad essa l’hanno collegata. Le transumanze amatriciane hanno sempre avuto la Campagna Romana come meta, nel medioevo e per tutta l’età moderna e contemporanea, come pure le zone pastorali di Accumoli e Cittareale, strettamente collegate con Norcia, attraverso i valichi di Forca Canapine e Forca della Civita, luoghi controllati da rocche e castelli”.
“Le osterie lungo le strade, eredi delle antiche stazioni di posta – conclude Marinelli – sono state per secoli punti nodali del traffico locale di persone, merci e greggi. Le osterie lungo i percorsi della transumanza, soprattutto quelle nei dintorni di Roma, sono state il principale punto di promozione del prodotto tipico di Amatrice, gli spaghetti all’amatriciana, a iniziare dai primi anni del Novecento. Le osterie sono state veri e propri empori, luoghi di fiere più o meno importanti, di cui rimangono edifici, spesso abbandonati o riutilizzati, oppure i toponimi o solo il ricordo; eppure hanno svolto il loro ruolo, in molti casi, fino agli anni Sessanta del secolo scorso”.
Francesca Sammarco
Lascia un commento