Quarant’anni tra qualche giorno. Già, sembra ieri eppure di tempo ne è passato da quella storica finale di Coppa del Mondo quando l’Italia superò la Germania al Santiago Bernabeu di Madrid e conquistò il suo terzo titolo iridato. “Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo” urlò al microfono (al fischio conclusivo del brasiliano Coelho) Nando Martellini perdendo per un attimo il suo proverbiale aplomb. Fu partita strana, ma gli dei del calcio avevano sapientemente congiurato per gli azzurri coniugando le migliori congiunzioni astrali: sabito fuori per infortunio Ciccio Graziani, sostituito da “Spillo” Altobelli; poi rigore tirato malamente fuori da Cabrini, “il bell’Antonio”.
Enzo Bearzot mastica la sua pipa in panchina; in tribuna fa altrettanto Sandro Pertini, il presidente di tutti gli italiani: risultato inchiodato fino al 12′ della ripresa quando ci pensa Paolo Rossi, sbucato da chissà dove, a metterla dentro di testa. Dodici minuti dopo, il gol di Tardelli dal limite seguito da un urlo belluino che diventa l’icona di quel Mondiale. Passano altri 13′ e Altobelli infila il terzo e sigilla i conti. Chiusura con il gol della bandiera di Breitner che vale solo per le statistiche. Che straordinario successo dopo un torneo che più tormentato non si può.
L’Italia aveva superato la fase eliminatoria per il rotto della cuffia, in virtù della migliore differenza reti nei confronti del Camerun. Polemiche a non finire, soprattutto contro Paolo Rossi e il Ct Bearzot che lo aveva voluto a tutti i costi, nonostante l’attaccante non giocasse praticamente da due anni (era stato squalificato per una vicenda di calcioscommesse dalla quale poi fu completamente scagionato), lasciando a casa il capocacannoniere della serie A, Roberto Pruzzo. La seconda fase prevede un gironcino a tre che ci mette di fronte Argentina e Brasile, due tra le grandi favorite della manifestazione, soprattutto i carioca. Si comincia con l’Albiceleste di Maradona: Tardelli e Cabrini vanno a segno e non basta la rete di Passarella a ribaltare il risultato. Dieguito torna mestamente a casa dopo il 3-1 subito contro il Brasile e dunque la semifinalista sarà decisa dallo scontro diretto tra azzurri e verde-oro.
Si gioca al Sarrià di Barcellona (stadio successivamente abbattuto per fare posto ad un centro commerciale) in un torrido 5 luglio 1982. Manco a dirlo i pronostici sono tutti per i sudamericani ai quali per passare il turno basta il pareggio avendo una migliore differenza reti. E invece accade l’imprevedibile. Rossi si sblocca di colpo e segna di testa, ma pareggia Socrates, un medico che ricamava calcio sul prato verde e che poi giocò nella Fiorentina. “Adesso ci massacrano”, è il pensiero comune. Sciocchezze. Ancora l’attaccante ruba a palla a centrocampo e si invola per infilarla nel sacco. Nella ripresa, un altro “italiano”, Falcao (giocava nella Roma) pareggia. “E’ finita – pensiamo tutti -. Adesso cominciano a nascondere il pallone e blindano il pareggio”. Nemmeno per sogno. Rossi si fa trovare al posto giusto al momento giusto e di rapina segna il 3-2. Mancano una manciata di minuti e il tempo sembra essersi fermato. Al 90′, anche qualche secondo oltre, a salvare il risultato arriva la grande parata di Zoff che inchioda sulla linea di porta un colpo di testa di Oscar.
Paolo Rossi è ormai diventato “Pablito” e mette a segno la doppietta che piega in semifinale la Polonia, prima della rete d’apertura nella finalissima dell’11 luglio a Madrid. E dire che i peggiori auspici si erano materializzati in tutta la loro drammaticità. Qualche giornalista aveva persino tirato fuori una “fake” su una possibile “liaison” tra il centravanti e Cabrini. Reazione sdegnata della squadra che si riunisce e decide il primo silenzio stampa della storia del calcio. Dino Zoff ha 40 anni, è il capitano e si assume una responsabilità enorme: “Voi pensate a giocare, ai rapporti con la stampa ci penso io”. Detto da uno al quale bisognava tirar fuori le parole con le tenaglie sembra quasi una bestemmia. E invece funziona: la squadra e il suo splendido condottiero Enzo Bearzot si isolano e in campo i risultati arrivano fino al trionfo finale contro la Germania.
E ci sono sempre i tedeschi a suggellare un’altra pagina epica della nazionale di calcio: Città del Messico, stadio Azteca, giugno 1970, semifinale del campionato del mondo. L’Italia va in vantaggio all’8′ con Boninsegna, poi 80′ minuti e oltre di indicibili sofferenze, fino al pareggio di Schnellinger (giocava nel Milan) nel recupero. Si va ai supplementari con una sensazione diffusa e terribile: “Adesso i crucchi ci asfaltano”. E infatti un altro Muller (Gerd, per la precisione) sigla il 2-1: “E niente, i kartoffen hanno incartato la partita…”. E invece la pareggia Burgnich, un difensore che in vita sua di gol ne avrà segnati 2-3 al massimo, e addirittura si torna in vantaggio con Riva, “Rombo di tuono”. I secondi 15′ sono ancora una volta soffertissimi perché al 110′ pareggia Seeler: “Stavolta è finita davvero”. No, non è finita: palla al centro e azione corale che Rivera, “l’abatino” (così lo aveva definito Gianni Brera), trasforma nel definitivo 4-3. “Partido del siglo”, scrivono gli spagnoli; “Game of the century”, rispondono gli inglesi. “Partita del secolo”, diciamo semplicemente e orgogliosamente noi italiani.
Ricordi che si accavallano nella mente di chi ha avuto la fortuna di viverli personalmente e che sono comunque diventati patrimonio di coloro che sono arrivati dopo e che hanno rivisto migliaia di volte quelle scene. Alcuni di quei protagonisti non ci sono più (Bearzot, Pablito, il grande Gaetano Scirea); altri sono ancora sulla breccia e attivi nel calcio (Oriali, “una vita da mediano, come poi cantò Ligabue) o nei circuiti televisivivi (Collovati, Bergomi). Furono notti magiche, ancor più di quelle poi vissute nel 1990 con i Mondiali in Italia. E sempre l’11 luglio (data significativa, evidentemente) l’Italia vince gli Europei battendo quei presuntuosi degli inglesi a casa loro, nel mitico stadio di Wembley. E’ passato solo un anno, ma la tristezza è ancora maggiore nel ricordare di essere fuori per la seconda volta consecutiva dalla fase finale della rassegna calcistica più importante.
Buona domenica.
Nell’immagine di copertina, Dino Zoff solleva la Coppa del Mondo a Madrid dopo il successo sulla Germania: sono passati 40 anni
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