ROMA – Era inevitabile che prima o poi sarebbe successo: anche le statue e i monumenti sono finiti in una echo chamber e per questo se ne discute da giorni sui social dove, a seconda della posizione pro o contro il loro abbattimento, si sono formati dei gruppi di discussione. Negli ultimi giorni essa si è concentrata su Indro Montanelli, la cui immagine in bronzo in via Manin, a Milano, è stata imbrattata come segno di sfregio nei confronti dello scrittore, tacciato di razzismo per aver raccontato in una intervista, riesumata con l’occasione, di aver sposato una dodicenne in Eritrea dove era andato come soldato. Da una parte si sono schierati, quindi, quelli che vorrebbero addirittura l’abbattimento del monumento come di tutti quelli eretti a personaggi i cui comportamenti prima o poi sono stati poco nobili (e la lista è lunga), dall’altra quelli che non sono d’accordo per vari motivi.
Una guerra, questa, in cui le echo chamber (camere d’eco), si sono surriscaldate e al loro interno i partecipanti si stanno convincendo tra loro di essere nel giusto senza appello. In un senso e nell’altro. Non volendo qui entrare nel merito della discussione, c’è da dire che nel bailamme delle informazioni non sempre corrette, anche nelle posizioni pro e contro Montanelli emerge la voglia o il bisogno di ciascuno di vedere confermata la propria opinione all’interno di un gruppo, una zona comfort, dove si avalla una teoria che non può essere messa in discussione. Farlo comporterebbe l’esclusione, l’indifferenza, la non omologazione, per dirla tutta. E così, come nella questione su Montanelli (ma sarebbe la stessa cosa se il dibattito fosse su veganesimo o vaccini), può capitare a tutti di cadere nella trappola di una echo chamber, una camera virtuale di risonanza dove ognuno ha la conferma solo di ciò che vuol sentire perché il risultato del suo ragionamento (che non è detto debba essere per forza logico), viene amplificato, rafforzato e confermato dalla comunicazione che vi si instaura come in un circolo vizioso, con contenuti che vengono ripetuti e ribaditi, con varianti e non, da tutti gli ignari partecipanti. Si, ignari perché essi non sanno di essere dentro un “grande gioco”, quello dei social, costruiti proprio per ottenere questo effetto.
Sono ignari tutti, anche quelli che usano i toni più accesi perché più convinti e perché all’interno di questo contesto hanno più seguito assumendo, proprio per questo, posizioni estremistiche, divenendo dei leader con il diritto di escludere, quando non di maltrattare, chi prova a sostenere una idea fuori dal coro. L’echo chamber, dunque, è un luogo dove non è consentito alcun contraddittorio pena la riduzione in polpette di chi prova ad esprimersi in modo non in linea con il gruppo (possiamo parlare di gregge?), in cui tutti sono convinti di essere in possesso di una verità assoluta. È una sorta di automanipolazione che chiude a ogni possibilità di andarla a scoprire, la verità, perché si pensa di possederla già e basta. Per essere più chiari: vi siete mai chiesti perché sui social vi arrivano solo notizie che confermano il vostro punto di vista su un argomento preciso? Per chi non lo sapesse, la risposta è: perché essi sono programmati per questo.
Non siamo quindi in un paradiso di informazione libera, come ci verrebbe da pensare da quando ci si può svegliare la mattina e pontificare dall’alto del nostro profilo, ma in un “non luogo” dove siamo confortati solo nel caso in cui ci è possibile rimanere rigidamente arroccati sulla nostra posizione, senza permetterci quei dubbi alla base della conoscenza, virtù che appartiene solo al genere umano. Tornando a Montanelli, a proposito del quale c’è la possibilità che l’aneddoto del matrimonio con la dodicenne sia pure una delle sue tante e documentate “balle”, la questione dell’abbattimento della sua statua rischia di essere diventata solo un contenitore dove scaricare e canalizzare una rabbia che come sappiamo ha sempre bisogno di un capro espiatorio.
Gloria Zarletti
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