MILANO – “Hai mai danzato col diavolo nel pallido plenilunio?”: è forse la domanda che Jack Nicholson farebbe oggi ai talebani, vista l’infernale ed umiliante punizione che hanno inflitto al gruppo delle adolescenti che lo scorso otto marzo ha sfidato il regime osando non solo ballare, ma addirittura non indossare il velo! Il reato? Aver girato in una strada di Teheran un video che le riprende mentre muovono ritmicamente i loro corpi sulle note di “Calm Down” di Selena Gomez e Rema e di averlo poi postato. Le immagini divenute virali se hanno consentito che il web neutralizzasse l’ottusa e violenta censura, hanno tuttavia favorito la loro identificazione ad opera della polizia.
Le ragazze sono state trattenute per due giorni, sottoposte a duri e violenti interrogatori ed hanno dovuto abiurare col capo coperto, pronunciando una pubblica condanna per quel “respiro di libertà” che erano riuscite per un attimo ad assaporare. Il regime ha dato, inoltre, ampia diffusione alla punizione come monito a non ripetere atti simili per strada, soprattutto in occasione nella ricorrenza del capodanno iraniano ed ha minacciato 74 frustate per qualsiasi manifestazione di turbamento dell’ordine durante la “festa dei fuochi” (Chaharshanbeh Souri).
Secondo un’antica tradizione di origine zoroastriana nei giorni che precedono il capodanno persiano (Nawruz), si celebra l’arrivo della primavera: gli iraniani accendono dei fuochi per strada e, saltandoci sopra, rappresentano allegoricamente la luce (il fuoco) della primavera che sconfigge le tenebre invernali. La ritualità, tanto temuta dai talebani, del bruciare piccoli o grandi falò in corrispondenza dell’equinozio di primavera è presente da tempi remoti ed in tutte le culture a segnare il rifiorire della natura e della vita, dopo la fredda ed arida quiescenza invernale. Quest’ultima condanna per ballo ha un precedente esemplare, almeno tra quelli trapelati, nella storia di Astiaj Haghighi e del suo fidanzato Amir Mohammad Ahmadi, entrambi poco più che ventenni, tratti in arresto per aver ballato nella centralissima Azadi Square di Teheran ed aver postato il video sui social.
Dopo il solito processo-farsa, sono stati condannati a 10 anni e 6 mesi di carcere con l’imputazione di aver incoraggiato la corruzione, violato la sicurezza nazionale e diffuso propaganda antigovernativa. Facile capire, pertanto, perché dopo il ritorno dei talebani al potere, la percentuale di donne sopra i 15 anni che si sentono al sicuro nella loro comunità si sia ridotta al 9,8%. Sono notizie che lasciano sgomenti ed anche di fronte a questi eventi si ha sempre una sorta di pudore a pronunciare la parola eroe; lo si fa sommessamente, temendo di essere tacciati di sentimentalismo e di facile retorica; eppure non si possono designare in altro modo tutte queste donne e uomini iraniani, a cui è stata tolta la dignità di vivere.
È del dicembre 2022 la legge che nega alle donne l’accesso alle Università; nonostante questo, a novembre le iraniane in migliaia hanno sostenuto il kankor, l’esame di ammissione, ma i talebani hanno tolto la possibilità ad oltre 100 mila studentesse di terminare i loro studi. Costrette a rinunciare ai loro sogni e progetti, continuano a manifestare da mesi in piazza il loro dissenso verso “le barbe nere” e rivendicano il diritto ad esistere fuori da ogni prigione domestica. “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” è forse la citazione più conosciuta dell’opera teatrale di Bertolt Brecht “Vita di Galileo”, di conseguenza per il popolo iraniano non sarebbe necessario alcun atto di eroismo, se a governarli non ci fosse l’intollerante e spietata teocrazia degli ayatollah. In un mondo finalmente rigenerato da un nuovo Umanesimo, basato sul rispetto della vita propria e quella degli altri come atto quotidiano, nessun paladino avrebbe ragion d’essere.
Durante la recente pandemia da Covid è innegabile rilevare che sia stata talvolta abusata una sorta di “mitologia” dell’eroe; venivano così definiti il personale medico, sanitario, del commercio, della logistica e di tutti quei settori che non si erano fermati durante quel doloroso periodo. Si è trattato sicuramente di una situazione drammaticamente straordinaria, di fronte alla quale il mondo intero era impreparato e pertanto a tutti coloro che hanno operato “in prima linea” (si diceva e scriveva così…) deve andare e per sempre la nostra gratitudine.
Ed ora? Demistificata ogni aurea eroica, accanto al grande cordoglio per i morti e la dovuta riconoscenza a quanti si sono sacrificati per tutti, restano ancora irrisolti i problemi strutturali che l’epidemia ha fatto esplodere e quei lavoratori continuano a prestare la loro opera con grande deontologia, pur in assenza di riconoscimenti e cambiamenti concreti. Alla fine ogni tentativo di difesa sembra dover tornare nel commento del rapper nigeriano Rema, che ha ritwittato l’incriminato video delle donne iraniane con i lunghi capelli sciolti al vento ed ha scritto: “A tutte le belle donne che stanno lottando per un mondo migliore, mi ispiro a te, canto per te e sogno con te”.
Eppure, a ben guardare, il suo pezzo “Calm Down” ha un testo inoffensivo, in cui l’invito alla calma per la baby amata passa da un vestito giallo alla similitudine della dolcezza muliebre con una Fanta, ma il suo ritmo “Afrorave” risulta travolgente ed irresistibile al ballo. Il finale è già noto: a tante altre teocrazie ha fatto e fa paura il corpo libero, in movimento e addirittura pensante delle donne. Politicamente inevitabile per gli aguzzini di turno, pertanto, imprigionarlo e soffocarne ogni anelito sotto una pietra tombale.
Adele Reale
Lascia un commento