NAPOLI – Con l’aria che tira, con le restrizioni dovute al Covid sembra che almeno l’angolo culinario qui a Napoli sia rimasto intatto, almeno nelle sue “portate”. Fermo restando la diversa e più ridotta capacità d’acquisto, quando si ha a che fare con la tradizione, soprattutto a Napoli, non c’è pandemia che tenga. Un misto di rispetto per la storia della cucina e di superstizione anch’essa onnipresente, tengono “banco” anche in questi giorni. Fino all’anno scorso Napoli, nella notte di San Silvestro, si trasformava in un momento di convivialità, un momento per festeggiare e augurarsi ogni bene. Quest’anno purtroppo resta… l’augurio. Di convivialità non se ne parla nemmeno. Certamente si acuiranno i riti scaramantici, ma a tavola ci siamo seduti in pochi.
Il Cenone di Capodanno, a Napoli, è un vero e proprio rito per salutare la venuta del nuovo anno. Nella notte di San Silvestro, infatti, il menù a base di pesce si replica similmente a quello della vigilia di Natale con alcune varianti tipiche da ultimo dell’anno. Gli ultimi tempi sono stati forieri di sperimentazione in cucina e proprio in virtù di questa tendenza si assiste sempre più spesso a rivisitazioni di piatti tradizionali. Si comincia con l’insalata di rinforzo: è una delle portate che non deve assolutamente mancare se si vuole preparare un menù della Vigilia di Capodanno fedele alla tradizione gastronomica napoletana. Di questo piatto esistono diverse varianti ma l’elemento che contraddistingue la pietanza napoletana sono le “papaccelle”, i tipici peperoni campani rossi e tondi.
A Napoli gli antipasti vengono chiamati ‘ntrattieni e servono a tenere calmi gli invitati prima che il pasto vero e proprio sia pronto. Per gli antipasti di mare la tradizione permette di dar sfogo alla fantasia e all’immaginazione. Non ci sono regole precise, ma i piatti più gettonati sulle tavole dei napoletani sono il polpo all’insalata, gamberoni e alici marinate. Si passa al primo piatto e non possono che essere spaghetti con le vongole. Che facciano parte della tradizione napoletana non ci sono dubbi. Gli spaghetti con le vongole sono un piatto immancabile il giorno della vigilia di Capodanno, così come lo sono nelle domeniche in cui si voglia trovare una valida alternativa al ragù. Nella prima edizione della Cucina Teorico Pratica (1830) di Ippolito Cavalcanti troviamo già annoverate svariate pietanze a base di frutti di mare, come zuppe con le vongole e telline, alici e lupine. Tra i consigli che da napoletani ossequiosi del grande Cavalcanti non possiamo che concordare con lui che gli spaghetti con le vongole sono in bianco, senza pomodoro e che per avere maggiore sapore gli spaghetti vanno saltati in padella.
A Napoli è celebre la frase “Si nu baccalà!” per indicare una persona poco sveglia e per nulla ricettiva. L’etimo fa riferimento al processo di conservazione che rende rigide le carni del merluzzo dopo l’essiccazione e la salatura. Il baccalà è un secondo piatto a base di pesce molto diffuso nell’entroterra campano. Pare che sia stato importato per la prima volta in Italia durante il periodo delle Repubbliche Marinare e a Napoli iniziò a diffondersi agli inizi del ‘500. Oggi il baccalà si serve rigorosamente fritto insieme al capitone marinato, alla frittura di paranza che va mangiata caldissima; lo stoccafisso in bianco con le olive e orata al forno con patate.
Durante le feste il capitone non può assolutamente mancare, questo perché fa riferimento ad un retaggio superstizioso: il capitone è molto simile al serpente, l’animale che rappresenta il male, secondo il Cristianesimo. Dunque, mangiarlo durante le feste rappresenta un gesto scaramantico “per scacciare il male”. Un’altra ipotesi spinge a credere che dietro questa credenza ci sia un motivo di ordine pratico. Il capitone, infatti, è un pesce molto grasso e, allo stesso tempo, accessibile economicamente. Quindi, un piatto sostanzioso ed economico, che un tempo permetteva di rendere sontuosi i banchetti natalizi anche di chi non poteva permetterselo.
Ma non è Capodanno se non si mangia almeno una fettina di cotechino con le lenticchie. Guai a non assaggiarne nemmeno un pezzettino; il cotechino con le lenticchie rappresenta un buon augurio per un anno ricco di buone novelle e soprattutto di tanti soldi. La tradizione ha origini antichissime. Risale all’usanza romana di regalare una “scarsella”, una borsa di cuoio contenente lenticchie con la speranza che i legumi si trasformassero in monete.
Il banchetto napoletano non può che terminare con un fiume di dolci: struffoli, cassata siciliana, susamielli, mostaccioli, roccocò e la pasta reale. Queste prelibatezze sono quasi sempre precedute o seguite dalla frutta fresca e da quella secca, servita mentre ci si prepara a giocare a tombola. La frutta secca che a Napoli chiamiamo ciociole è di solito composta da mandorle, noci, datteri, fichi secchi, nocciole. In attesa dei fuochi di mezzanotte, incollati ai concerti televisivi, si gioca a tombola con i numeri legati alla “smorfia”, al significato, cioè, che ogni numero ha nella tradizione. Quest’anno l’atteggiamento di attesa è stato più carico, più intenso, più vero. L’augurio che debba cambiare il modo di affrontare gli aspetti negativi della realtà renderà più gustose le pietanze e più vero e intenso il modo di stare insieme.
Innocenzo Calzone
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