Il Coronavirus e il conseguente blocco della mobilità da stato a stato, da regione a regione e all’inizio anche da comune a comune ne hanno reso per mesi impossibile la percorribilità. Adesso che la situazione, almeno per quello che riguarda l’escursionismo, è tornata quasi normale, la Via Francigena si trasforma di nuovo in una strada frequentata da pellegrini di ogni paese che la percorrono a piedi – ma se ne vedono anche in sella a bici e addirittura a dorso di cavallo o di mulo – portandosi sulle spalle l’immancabile pesante zaino. Il caldo di questi giorni non ferma chi per fede, per spirito d’avventura o per pura scommessa con sè stessi, ha deciso di compiere un percorso che rimarrà nel cuore per tutta la vita.
Via Francigena, duemiladuecento chilometri da Canterbury a Roma, 1020 chilometri il tratto italiano. Sentieri di montagna, mulattiere di pietra, strade di campagna, viabilità minore il più delle volte senza traffico. Strade bianche tra cipressi e ulivi, oppure ombreggiati da solenni pini domestici o da antichi querceti. Strade percorse già prima dell’anno mille. Vie carraie fatte con ciottoli di fiume, lastre di pietra logorate dal tempo e dal passaggio, il basolato della via Cassia, fino a quella che è la meta del viaggio: i “sanpietrini” di Roma Caput Mundi. Diciamolo subito, per il tracciato ufficiale della Via Francigena (Via Francigena di Sigerico, riconosciuta dal Consiglio d’Europa come itinerario culturale nel 1994 e come Grande Itinerario culturale 2004) è stato scelto quello più sicuro, facile, privo di difficoltà tecniche. Ma pur sempre un percorso lungo e impegnativo che comunque può essere percorso a tappe più brevi.
Inizia in Inghilterra, di fronte alla Cattedrale di Canterbury e lungo la Pilgrim Way arriva a Dover da dove, a mezzo di traghetto o treno, attraversa la Manica per raggiungere Calais. In Francia passa nelle regioni del Nord-Pa-de-Calais-Picardie, dello Champagne-Ardenne e della Franche-Comtè per entrare in Svizzera e proseguire nei cantoni del Vaud, costeggiando il lago di Ginevra e del Vallese in direzione delle Alpi. Entra in Italia attraverso il Passo del Gran San Bernardo e dopo aver toccato la Val d’Aosta, prosegue in Piemonte e bassa Lombardia, tra campi di riso e frumento. Intrapreso il guado del fiume Po, con un taxi fluviale, passa quindi in Emilia e valica gli appennini scendendo dal Passo della Cisa. Attraversa tutta la Toscana dalla Lunigiana al Chianti, alle colline senesi ed entra nel Lazio scoprendo le bellezze della Tuscia medievale fino a raggiungere la periferia di Roma e quindi la meta: la Basilica di San Pietro, in Vaticano.
Da qualche giorno si rivedono i pellegrini, coloro che nei mesi di aprile maggio e giugno poi a settembre, ottobre e novembre negli anni precedenti su queste strade erano un piacevole incontro e che invece sono mancati. Sono tornati, stanno tornando. In gruppi di più persone ma anche a coppia o in solitaria. Tante le donne che affrontano il viaggio mostrando forza fisica e più ancora forza di volontà e determinazione.
“Non correre e fermati spesso, ascolta il racconto della storia, visita le cripte, raccogliti in silenzio nelle navate ombrose delle chiese romaniche, scaldati al sole sul sagrato delle pievi. Apri le imposte ogni mattina sulla selva dei tetti di un paese. Assaggia ogni sera un cibo nuovo e sconosciuto. Giorno dopo giorno la tua meta si avvicina e stenti a credere che la campagna romana debba finire e lasciare spazio alla città dei sette colli, ai suoi monumenti eterni. Sarai sorpreso dalla forza dei tuoi passi, che con lentezza e costanza hanno sommato, metro dopo metro, poco più di duemila chilometri, in tre mesi e mezzo di cammino: un’esperienza indimenticabile”.
L’ho letto su un depliant turistico, ma la Via Francigena non è solo turismo, è qualcosa di più. E’ il viaggio della vita.
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