RIETI – Lutto regionale in Calabria (ma perché solo regionale e non nazionale)? Fa male la foto di quel biberon sulla spiaggia di Cutro, insieme a scarpe, tutine, zainetti, misti a pezzi di quel che era un misero barcone di legna partito dalla Turchia, sovraccarico di persone in cerca di una vita decente, in fuga da torture, fame, morte. Quella foto, come tante altre in questi anni, racconta la loro disperazione e la nostra indifferenza. Il giornalista Marco Damilano nel corso del programma “Il Cavallo e la Torre” del 27 febbraio ha trasmesso il video di un salvataggio in diretta, su una rotta dalla Tunisia, particolarmente pericolosa. E’ un documento molto forte (è disponibile su Rai Play), con il pianto disperato di un bimbo di pochi mesi soccorso in extremis, che finalmente riesce a vomitare liberando i polmoni e una donna che chiede “perché non ci volete, cosa vi abbiamo fatto, vogliamo solo lavorare e avere una vita decente”. Sarebbero bastati cinque minuti di ritardo e sarebbero tutti annegati.
“Servono soluzioni consapevoli” chiede il Cardinal Zuppi. Basterebbe organizzare corridoi umanitari, con un progetto di accoglienza e di distribuzione di persone che non sono un pericolo, non sono un problema, non vengono a toglierci niente: abbiamo una natalità sempre più bassa, l’età media della popolazione è sempre più alta, artigiani e operai specializzati sono in diminuzione, mentre gli scambi culturali da secoli ci arricchiscono. Prendiamo a prestito le parole di Giordano Bruno bruciato vivo in Piazza Campo de’ Fiori a Roma: “Verrà un giorno in cui l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo”, per dire che questo giorno è ancora molto lontano. Continuiamo ad essere schiavi di qualcuno e di qualcosa. Nessuno decide la famiglia e il Paese in cui nascere, quel biberon potrebbe essere dei nostri figli e nipoti. Cosa ci sta succedendo?
La banalità del male è sempre in agguato. Non ci rassicura Vittorino Andreoli, medico, scrittore, psichiatra e neurofarmacologo nel libro “La gioia di pensare”. Nella sua sempre lucida analisi della società ci avverte: “L’uomo sta perdendo la mente e anche l’anima, e quindi si riduce a corpo, a muscoli che gli consentono di svolgere le mansioni dell’Homo faber, che corre, consuma sesso, mangia e usa le mani: un tempo per lavorare, adesso per gli hobby. Si tratta di una profonda regressione antropologica, non soltanto di un effetto secondario del progresso tecnologico. Se cadono non solo le facoltà ideative, ma anche i desideri, il piacere di sapere, tutto riporta al fare come segno di essere”. Non più il “cogito ergo sum”, ma il “faccio dunque non sono morto”.
E cosa dice mago Merlino in un momento di tristezza del piccolo Artù? “La cosa migliore da fare quando si è tristi è imparare qualcosa. È l’unica cosa che non fallisce mai. Puoi essere invecchiato, con il tuo corpo tremolante e indebolito, puoi passare notti insonni ad ascoltare la malattia che prende le tue vene, puoi perdere il tuo solo amore, puoi vedere il mondo attorno a te devastato da lunatici maligni, o sapere che il tuo onore è calpestato nelle fogne delle menti più vili. C’è solo una cosa che tu possa fare per questo: imparare. Impara perché il mondo si muove, e cosa lo muove. Questa è l’unica cosa di cui la mente non si stancherà mai, non si alienerà mai, non ne sarà mai torturata, né spaventata o intimidita, né sognerà mai di pentirsene. Imparare è l’unica cosa per te. Guarda quante cose ci sono da imparare”.
Noi invece abbiamo bisogno di sentirci rassicurati nel nostro quotidiano, con la paura di metterci in discussione, attaccati alle nostre certezze e ai nostri pregiudizi, con la paura di conoscere persone nuove e civiltà diverse, alziamo i muri “senza pensare a cosa lasci fuori”, diceva già Italo Calvino. E Jung, che ancora non conosceva i social: “Pensare è molto difficile. Per questo la maggior parte della gente giudica. La riflessione richiede tempo, perciò chi riflette già per questo non ha modo di esprimere continuamente giudizi”. Li conosceva invece Umberto Eco, che accusava i social di aver dato legittimità a imbecilli che prima chiacchieravano facendo danni solo al bar: “Quando la maggioranza sostiene di avere sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia”.
Stiamo perdendo il nostro essere uomo sapiens, stiamo diventando sempre più omologati, senza più anima, sentimenti, capacità di provare orrore e quando lo proviamo, ce lo facciamo passare subito, sempre “nelle nostre case calde”.
Francesca Sammarco
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