RIETI – Clara Immerwahr: chimica, pacifista, suicida in dissenso con le attività del marito, inventore dei gas asfissianti. Clara fu fedele al suo cognome: immer significa sempre, wahr significa vero e Clara è stata una donna sempre vera, coerente con sé stessa, fino alla fine. Vale la pena ricordarla, non solo perché lo merita, lei come altre donne ignorate e dimenticate, ma perché la sua è una storia terribile, purtroppo non l’unica del nostro ultimo secolo, di cui poco si sa.
Era nata nel 1870 a Polkendorf in Slesia da una famiglia della grande borghesia ebraica. Suo padre Philip era uno scienziato famoso e lei ne seguì le orme, quelle della scienza al servizio della pace. Fu la prima donna laureata in chimica e fisica all’Università di Breslavia, nel 1900. Un anno dopo, sposò il chimico, futuro premio Nobel, Fritz Haber. Una gravidanza difficile e la nascita del figlio Hermann, cagionevole di salute, l’allontanarono dalla ricerca, come spesso succede alle donne. Mentre Fritz intraprese una brillante carriera accademica, Clara ebbe il ruolo della “consorte del professore”, con funzioni di rappresentanza, accudimento e collaborazione, traduttrice in inglese dei lavori del marito.
Nel 1909 le ricerche di Haber, insieme a quelle di Carl Bosch, portarono alla produzione dell’ammoniaca a partire dall’azoto dell’aria. Una scoperta importante a scopi civili, che fu però utilizzata, su sollecitazione dello scienziato, per la produzione di esplosivi. Era il 1914 e le ricerche di Haber proseguirono con attenzione verso le applicazioni belliche. Nella prima guerra mondiale, la terribile guerra di trincea, furono usati i gas asfissianti (iprite) e le maschere non erano adeguate. Il 2 maggio 1915, poco prima di compiere quarantacinque anni, Clara si uccise con la pistola d’ordinanza del marito, come estremo atto di protesta contro il primo sterminio chimico di massa avvenuto due settimane prima a Ypres, dove migliaia di soldati francesi morirono asfissiati. Prima di compiere quel passo estremo, deciso dopo lunga riflessione, Clara aveva protestato con ogni mezzo contro le ricerche belliche del marito.
I giornali di Berlino, dove abitavano gli Haber, non diedero notizia della morte di Clara e non ci fu nessuna autopsia. Gerit von Leitner, archeologa, fotografa, regista cinematografica, nel 1993 pubblicò il libro “Der Fall Clara Immerwahr- Leben für eine humane Wissenschaft” (Il caso Clara Immerwahr – Vivere per una scienza umana): “Durante la guerra, la sua presa di posizione chiara e univoca era malvista e ostacolata. Le rimaneva un’unica possibilità per non diventare complice. Quando la casa restò vuota, dopo i festeggiamenti per la vittoria riportata a Ypres, e dopo che Fritz si sottrasse alle sue responsabilità prendendo un sonnifero, Clara scrisse per ore lettere di commiato, in cui spiegava il significato del suo gesto, contro la perversione della scienza e poi si tolse la vita. I domestici videro le lettere che poi sparirono. Chi le ha distrutte?”. Facciamo un fermo immagine: è notte, un uomo dorme come se nulla fosse successo, una donna si tormenta nell’oscurità e nel silenzio, sola, scrivendo lettere che nessuno ha letto. Clara spirò tra le braccia del figlio adolescente, mentre Haber lasciò la casa per coordinare il primo attacco con il gas asfissiante contro i russi, senza partecipare al funerale della moglie.
Nel 1918, tre anni dopo i fatti di Ypres, Haber ricevette il premio Nobel per la chimica per la scoperta dell’ammoniaca. Lo zelo nell’industria bellica è quello che ancora oggi muove l’economia del mondo, decide i destini e la sorte di persone civili e inermi vittime di tutte le guerre in atto e quello zelo spinse Haber a produrre anche lo Zyklon, il gas che venne usato ad Aushwitz. Come ebreo non venne risparmiato dalle leggi razziali. Adolf Hitler rispose al fisico Max Planck, che perorava la causa di Haber: “Se la scienza non può fare a meno degli ebrei, noi in pochi anni faremo a meno della scienza”. Fritz Haber fu costretto all’esilio in Svizzera e proprio sulla strada per Israele, morì d’infarto a Basilea nel 1934.
Sono poche le fonti sulla vita di Clara, sono sopravvissuti solo pochi documenti personali e lettere agli amici. Gerit von Leitner era una paladina dell’emancipazione e del pacifismo femminile, il suo libro ha ricevuto un’ampia risposta da parte del pubblico, con recensioni in molti giornali, riviste, programmi radiofonici perché cavalcava gli eventi dei primi anni ’90, come l’uso improprio della ricerca scientifica da parte dei militari e la Guerra del Golfo del 1990. La sua interpretazione della storia della vita di Clara incontrò un vivo interesse. Nelle recensioni è stato spesso creato un ponte tra la guerra del gas, il suicidio, la incompatibilità tra famiglia e carriera per le accademiche e la parità di diritti all’interno dei matrimoni accademici. Gli storici della scienza Bretislav Friedrich e Dieter Hoffmann hanno descritto il libro di Leitner come un “mezzo” con cui sono state avanzate le opinioni, gli ideali del movimento per la pace, del femminismo e dell’antimilitarismo.
Critici invece gli storici sulle poche fonti e un’interpretazione selettiva. Nel 1998 Gerit pubbblicò il libro sulla vita di Gertrud Woker, attivista svizzera, per i diritti delle donne, chimica e pacifista. La biografia di Haber risale al 1994, scritta da Dietrich Stoltzenberg, che si soffermò sull’aspetto scientifico delle sue ricerche, la storica Margit Szöellöesi-Janze ha pubblicato invece maggiori dettagli, basati sugli archivi di Max Planch e sugli scritti della seconda moglie, Charlotte Nathan, da cui Haber divorziò nel 1927.
Margit sostiene che il suicidio di Clara fosse dovuto anche a ragioni personali, la sua carriera interrotta, le assenze da casa e le frequentazioni femminili fra cui la futura seconda moglie. Haber era una personalità ambigua, tormentata tra quella che può essere definita scienza buona o cattiva, in bilico tra Ebraismo, Protestantesimo e patriottismo, uno scienziato, ma anche un criminale di guerra, con una vita privata fallimentare.
Francesca Sammarco
Lascia un commento