NAPOLI – L’espressione inglese “street art” resta abbastanza vaga, specie all’interno del concetto di arte. Il termine ha varie accezioni e non è chiaro il confine. Uno dei pionieri di quest’arte, l’americano John Fekner, descrive la street art come “tutto quello che sta in strada che non siano graffiti”. Questo chiarimento è molto importante perché troppo spesso si assiste a veri e propri scempi effettuati su mura di palazzi, pareti di metropolitane, pensiline degli autobus. Alcune fatte con criterio, altre (purtroppo la maggior parte) fatte per lasciare un segno, una firma, indelebile sul luogo dove si è passati. Più che murales o arte di strada si potrebbero definire “scempi di strada”, veri e propri orrori della salute visiva di ciascuno di noi. Talvolta vengono predisposti anche degli spazi espressamente dedicati, ma spesso questa forma di manifestazione artistica si manifesta attraverso atti illegali.
In effetti, ancora oggi, il confine tra quello che viene considerato vandalismo e arte, rimane molto sottile. Diverso è il caso di chi ha la genialità come i due artisti olandesi Jan Is De Man e Deef Feed, che hanno trasformato, ad Utrecht, la facciata anonima di un edificio in una meravigliosa libreria grazie ad un murales in stile “tromp l’oeil”. La parete dell’edificio a tre piani è diventata la tela per realizzare una libreria composta da diversi scaffali. Il progetto è nato grazie ad alcuni amici di Is De Man, che vivono proprio in quel palazzo. Avevano chiesto all’artista di creare un murale sul loro edificio ma l’idea originale era molto diversa: lo street artist aveva pensato di dipingere una grande faccina sorridente. Ma è stata molto più efficace l’ultima soluzione.
Le motivazioni che spingono tantissimi giovani a intraprendere questo percorso non canonico dell’arte possono essere molto varie. Per alcuni è una forma di critica verso la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze; spesso, nell’arte di strada, si fa una contestazione contro la società o contro la politica. Per altri è più semplicemente un modo per esporre liberamente, senza i vincoli di gallerie e musei; quindi una maniera per autopromuoversi e operare in piena autonomia.
La diffusione della street art è sempre più evidente. Tanti sono gli esempi che si riscontrano in diverse città del mondo dove intere palazzine, mura di periferia, strade, vetrine di negozi vengono trasformati in vere e proprie opere d’arte. Un grande artista che si sta imponendo a Napoli è Jorit Agoch (a sinistra, il murales dedicato a Ilaria Cucchi). I suoi volti, da San Gennaro a Maradona o gli ultimi lavori al Centro Direzionale su Patrizio Oliva o altri artisti, rendono onore ai personaggi e nello stesso tempo danno un tocco di colore a pareti di cemento drammaticamente piatte e grigie. Di sicuro rivitalizzano zone urbane parzialmente degradate o totalmente inespressive, urbanisticamente parlando. Il volto è il soggetto preferito dell’artista perché crede che l’aspetto possa trasmettere molte emozioni. E, a dire il vero, si sta diffondendo anche una sorta di attesa e scommessa sul successivo lavoro che l’artista intende compiere.
Banksy, forse più conosciuto (a destra, una sua opera), attraverso l’allora poco conosciuta pratica della “guerrilla art”, ha diffuso più di chiunque il concetto di arte in luogo urbano: stencil a spray immediatamente traducibili e trasversali rispetto alla società che comunicano tematiche sociali come la necessità di libertà d’espressione, il pacifismo, la conformità della morale a regole di sola facciata.
Di fronte a certe opere d’arte resta il totale compiacimento del pubblico che vede rivalutato uno squarcio di città. Dall’altro, di fronte al caos grafico reso legale, resta il grande rammarico di un libertinaggio espressivo confuso e propinato come arte dove di arte c’è ben poco, se non nulla.
Innocenzo Calzone
Nella foto di copertina, il lavoro degli olandesi Jan Is De Man e Deef Feed
Lascia un commento