TERNI – La mattina del 2 agosto 1980 il dottor Sergio Secci, 24 anni, ternano, brillante laureato del Dams di Bologna, è seduto su una panchina della stazione ferroviaria centrale della “dotta”. Proveniente da Forte dei Marmi, dove ha trascorso qualche giorno al mare con un gruppo di amici bolognesi, deve raggiungere Bolzano per un colloquio di lavoro con i dirigenti del “Teatro di Ventura”. Per l’immediato futuro, poi, ha in programma un periodo di campeggio con gli amici di sempre in Calabria. Un ritardo di una manciata di minuti del treno sul quale viaggia, gli ha fatto perdere la coincidenza delle 8.18 e non ha potuto far altro che rassegnarsi ad attendere il convoglio successivo che partirà, come lui stesso ha verificato sulle tabelle degli orari, alle 10.50.
Un contrattempo che il laureato – un bel ragazzo, moro ed estroverso – affronta con filosofia. Chiama al telefono l’amico Ferruccio che lo attende, per metterlo a parte dell’inconveniente, poi ordina un caffè al bar della stazione – ben conosciuta per i quattro anni trascorsi nell’ateneo felsineo – ed infine, sfogliando un giornale per ingannare l’attesa, si siede su una panchina. Quel treno non arriverà mai. Per lui. Alle 10.25 scoppiano gli undici chili di esplosivo, piazzati da inumane e feroci mani terroriste, che provocano la più grande strage della storia dell’Italia Repubblicana (85 morti, 200 feriti). Sergio, nell’agghiacciante attentato dinamitardo, non è morto. Terribilmente dilaniato e mutilato, in più parti del corpo, dalla violentissima, devastante esplosione, viene ricoverato all’ospedale Maggiore. Resta lucido anche se non è in grado di parlare ma, rispondendo con un cenno degli occhi alle lettere alfabetiche che i medici gli fanno scorrere davanti, consente la ricostruzione delle sue generalità e della sua residenza.
Poche ore più tardi, al suo capezzale, si precipita il padre, Torquato Secci, che racconterà di essere rimasto letteralmente “inorridito” dalle condizioni in cui ha trovato il figlio, da parte sua cosciente delle proprie condizioni disperate, tanto da chiedere di non far venire la madre, la signora Lidia Piccolini, per non arrecarle un ulteriore dispiacere. L’agonia durerà cinque giorni: il 7 agosto 1980 Sergio spirerà in rianimazione.
Alla cerimonia che si è svolta una settimana fa a Bologna per i quaranta anni dalla strage, presente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Comune di Terni ha inviato, quale rappresentanza istituzionale, il Gonfalone della città ed un assessore, ma non ha organizzato alcuna iniziativa a Terni – per la prima volta dopo 39 anni -, tanto da suscitare aspre polemiche, tra i cittadini, con l’Arci in testa. Della famiglia Secci non è rimasto più nessuno: Torquato è morto ormai da 24 anni; Lidia, una insegnante, da pochi mesi. Anche per la memoria in primo luogo di Sergio, ma pure della signora Lidia e del combattivo Torquato, le autorità cittadine avrebbero dovuto organizzare una qualche iniziativa. Soprattutto perché i Secci non solamente si sono battuti con vigore per ottenere “verità e giustizia” per la strage, ma si sono pure mobilitati organizzando borse di studio per i migliori studenti ternani.
Sergio, infatti, si era distinto quale allievo modello (mietendo all’università tutti 30 e lode e discutendo una interessantissima tesi su “Bred and pupper”). Torquato (1916-1996, dal canto suo, si ritagliò un ruolo di figura carismatica. Militare di leva nel 1937 nella Marina Militare aveva dovuto affrontare tutto il periodo bellico della Seconda Guerra Mondiale. E nel 1943 col Reggimento San Marco (Gruppo Folgore) risalì la penisola nella guerra di Liberazione, con l’esercito reale italiano, affiancato agli anglo-americani. Pochi mesi dopo la strage, Torquato – che aveva lavorato quale dipendente amministrativo della Snia di Terni – era stato il fondatore e l’anima dell’Associazione dei familiari della strage di Bologna, di cui era stato eletto presidente, carica mantenuta sino alla morte.
Quest’uomo piccolo di statura, ma di grande energia fisica e morale e dagli occhi vivaci, ha guidato per anni, con mano ferma e con lucida intelligenza, la meritoria associazione. Terni, ma anche l’Umbria e l’Italia intera, hanno un debito di riconoscenza nei confronti della famiglia Secci. C’è da augurarsi che alla prossima ricorrenza le autorità civili ternane ed umbre sappiano riscattare, almeno in parte, la “gaffe” di quest’anno. Le morti innocenti del terrorismo – sia di estrema destra, come in questo caso in cui manca ancora una parola definitiva sui mandanti (quali responsabili sono stati condannati Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, membri dei NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari), sia di estrema sinistra – non hanno colore politico. E ogni cittadino italiano deve nutrire nei confronti dei caduti, di questa come delle altre stragi, spesso rimaste impunite, un debito di profonda riconoscenza ed un inalienabile dovere di memoria.
Elio Clero Bertoldi
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