Oggetti volanti non meglio identificati, masse lucenti e apparizioni inspiegabili. Poi l’avvistamento di entità antropomorfe che vagano tra la fitta vegetazione dove non batte mai il sole. Racconti che con il passare degli anni e dei secoli sono aumentati diventando ancora più specifici e particolari. Fiabe, leggende e misteri che da sempre avvolgono il territorio dei Monti Cimini. Storia e mito oggi portano nella Selva Vetusta migliaia di turisti, affascinati da bellezza e suggestioni dei luoghi.
Il 7 luglio 2017 il World Heritage Committee ha riconosciuto la faggeta del Monte Cimino come sito UNESCO Patrimonio Mondiale Naturale dell’Umanità inserendola nella Unesco’s World Heritage List “per essere un esempio eccezionale di significativo corso dei processi ecologici e biologici nell’evoluzione e lo sviluppo degli ecosistemi terrestri, di acqua dolce, costieri e marini e le comunità di piante e animali marini”.
Un complesso montuoso di oltre 50 ettari a pochi chilometri da Viterbo, nel Lazio. Anticamente il bosco copriva l’intero territorio dei monti Cimini e si estendeva fino alle pendici che scendono al piano dai due versanti meridionali e settentrionali e settentrionale fino alle antiche città di Sutri, Nepi e Falerii Veteres a sud; fino a Fescennia, Ferento e Blera a nord e nord-ovest. Una propagine della Selva Cimina arrivava fino ai monti Sabatini e al lago di Bracciano, compresi Monte Calvi e Rocca Romana da una parte e l’odierna Manziana dall’altra.
La vetta del monte tocca i 1063 metri sul livello del mare. La sua cima è ancor oggi ricoperta da una plurisecolare e impenetrabile faggeta che la circonda da ogni parte con alberi di oltre 30 metri ritenuti i più alti in Europa. Alla fine del XIX secolo proprio in questo luogo furono rinvenuti i resti di una doppia cinta muraria e più recenti scavi archeologici hanno confermato la presenza di un abitato della tarda Età del Bronzo (1150 a.C. circa).
Luoghi impervi e pericolosi dove era facile perdersi o rimanere preda di aggressioni da parte dei briganti che frequentavano quelle zone sconosciute. Falisci ed Etruschi ne sono stati per tanti anni i dominatori incontrastati sfruttando una situazione ambientale che li proteggeva dagli attacchi e dalle invasioni dei popoli confinanti.
Poi nel 310 a.C. la Selva Cimina diventa terra di battaglia tra Romani ed Etruschi e questi ultimi, alla fine sconfitti, perderanno per sempre il dominio su un territorio che fino ad allora era stato ritenuto impenetrabile.
A raccontare quell’epica battaglia è lo storico romano Tito Livio (59 a.C.-19 d.C.). L’assedio di Sutri, colonia di diritto latino fondata dai Romani nel 383 a.C., era sotto attacco da parte degli Etruschi. Il cruento scontro tra i contendenti si risolve a favore dell’esercito della Res Publica che, però, ormai vincitore rinuncia a inseguire i fuggiaschi etruschi sparsi all’interno dell’impervia vegetazione. E a tal proposito lo storico romano scrisse che “Silva erat Ciminia magis tum invia atque horrenda quam nuper fuere Germanici saltus” (“A quei tempi la Selva Ciminia era più impervia e spaventosa di quanto siano apparsi, in tempi recenti, i boschi della Germania”), e che “nulli ad eam diem ne mercatorum quidem adita” (“nessuno fino ad allora aveva osato avventurarvisi, nemmeno i mercanti”).
Per la sua bellezza e le suggestioni che sa regalare, il bosco di faggi è stato set di alcuni celebri film tra cui Il Marchese del Grillo (1981) di Mario Monicelli, Yado (1985) di Richard Fleischer e L’Armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli. Oggi è meta imperdibile per turisti e vacanzieri appassionati della natura incontaminata, per campeggiatori alla ricerca di panorami mozzafiato e per chi, in ogni mese dell’anno, vuole godere della solitudine e dei sussurri del bosco.
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