VITERBO – Tante seccature della vita quotidiana nascono dall’interazione con altre persone, ma uscire da queste rete di relazioni può portare a un situazione da tutti temuta: sentirsi soli. E il sentimento di solitudine fa stare male e può farci persino ammalare, a dimostrazione di quanto la nostra natura sia profondamente sociale. Il senso di vuoto e di solitudine è il male oscuro della nostra epoca. Ma questo non significa che la solitudine sia una condizione negativa, anzi. Occorre però comprendere bene come ci si deve “rapportare” con questa condizione dell’esistenza.
Non si deve stare da soli per diventare persone migliori; la solitudine non serve se le facciamo domande o vi cerchiamo risposte. Solitamente stare da soli spaventa, si ha paura del vuoto e per questo ci si riempie di cose da fare. Quasi tutti siamo convinti che per sconfiggere la solitudine sia necessario stare insieme agli altri, avere una relazione di coppia (cosa fondamentale), avere molti amici, uscire, stare in mezzo alla gente. Quasi nessuno pensa che la solitudine, come problema emotivo, sia in realtà la paradossale conseguenza del nostro continuo cercare all’esterno le cose di cui crediamo di avere bisogno. Quando parliamo di solitudine ci riferiamo alla sofferenza della solitudine. Ci sono, infatti, delle persone che, almeno in certi periodi della loro vita, stanno bene soli per studiare, per lavorare, per riflettere. La solitudine dolorosa è quella che ci viene imposta. Noi, come individui isolati, non esistiamo.
La nostra lingua, le nostre emozioni, il modo di comportarci, le mete, le speranze le prendiamo dai genitori, dai maestri, dagli amici, dagli altri. Viviamo nella nostra comunità come il bambino nel ventre della madre, fuori c’è il deserto, l’esilio: trovarsi fra gente che non conosci e che non ti conosce, che non ami e che non ti ama, a cui non sai cosa dire e che non ha nulla da dirti. Il metodo per evitare o almeno ridurre il dolore della solitudine è quello di non richiudersi mai in un solo gruppo, non tenere mai i rapporti con una sola persona. Una delle più forti paure che sentiamo nella nostra vita è quella di restare soli: non certo di poterci isolare un momento nella nostra stanza lontano dal caos della vita quotidiana, ma di venire emarginati e isolati dagli altri. Se non siamo capaci di vivere bene da soli, senza avere bisogno di qualcuno sempre con noi, non potremo mai stare bene neppure con gli altri. Se impariamo a stare con noi stessi, ad apprezzare il silenzio di un’alba senza nessuno che ci distragga, se cominciamo a dedicare del tempo vero a riflettere, se impariamo a conoscerci e ad amare la solitudine, non ne avremo più paura e non soffriremo di certo.
Possiamo superare questo timore ritagliandoci ogni giorno del tempo solo per noi, senza distrazioni artificiali (libri, televisione, cellulari). In realtà nessuno può soffrire di solitudine ma solo di astinenza: astinenza da tutte le forme di “distrazione” che utilizziamo per non restare soli con noi stessi. Quando avremo imparato ad amare la solitudine potremo amare la compagnia, senza averne bisogno, quando ci saremo liberati del bisogno delle persone, allora potremo amarle. Per non soffrire di solitudine dobbiamo imparare ad amarla e comprenderla: da qui impareremo a essere liberi e ad amare davvero, perché la solitudine non è l’assenza degli altri, ma la presenza di noi stessi.
Adele Paglialunga
Tutta sta filosofia per affermare cose contro la natura umana. Stare da soli è contro natura, siamo un animale che basa la sua evoluzione sulla socialità. Se fossimo solitari non ci saremmo evolutivi fino a qui. Giustificare la solitudine è una panzanata dei giorni nostri che sta rovinando la vita delle persone ed il nostro futuro.