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Sin, aree avvelenate e non bonificate

di | 2021-05-16T20:03:26+02:00 16-5-2021 20:00|Attualità, Sezione 1|2 Comments

ROMA – Si chiamano Sin, ovvero Siti di Interesse Nazionale ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non li contraddistingue nessuna attrazione naturalistica o che dir si voglia. Si tratta, invece, di aree pericolosissime perché contengono sostanze chimiche residue di stabilimenti industriali dismessi. Il Ministero dell’Ambiente le ha già tutte identificate come porzioni di territorio da bonificare, sono 42 disseminate su tutta la Penisola e ognuna di esse porta su di sé la responsabilità non solo della perdita di molti posti di lavoro conseguenti alla chiusura degli stabilimenti industriali ma anche un carico di malattie e morte causate dalle infiltrazioni, nel terreno e nelle falde acquifere, delle scorie industriali. Si parla di arsenico, cadmio, amianto, idrocarburi e chi più ne ha più ne metta.

In questa storia tipicamente italiana c’è di bello che i cittadini residenti nei dintorni di questi siti, si sono organizzati per farsi sentire, si sono messi a studiare le carte, a presentare denunce circostanziate, corredate da numeri e statistiche, si sono riuniti in comitati impegnandosi civicamente per il bene dei loro territori e per riscattarli dall’inquinamento e dal marcio. Di brutto c’è che nessuna di queste 42 aree è stata ancora bonificata. Da nord a sud la nostra penisola è avvelenata dai Sin: questa è la verità. Per citarne qualcuno: in Veneto, a Porto Marghera, c’è uno stabilimento dismesso che gli ambientalisti additano come la causa di cambiamenti climatici; in Toscana, precisamente a Grosseto, a Orbetello, a Piombino e Livorno Colle Salvetti, ce ne sono 4 il cui percolato inquina terreni e falde acquifere con rifiuti tossici, concimi chimici, ammoniaca, idrocarburi e metalli pesanti. Non senza conseguenze. Secondo i dati della Asl, infatti, la situazione sarebbe molto grave se 11.500 persone ogni 100mila abitanti si ammalano di tumore in quella regione.

Le Marche non sono in una situazione migliore. A Falconara due impianti, dei quali uno dismesso ma l’altro, che è una raffineria petrolchimica ancora attiva, non sembrano estranei ai numerosi casi di linfomi non Hodgkin e leucemia stando ad uno studio effettuato dall’Istituto Nazionale Tumori di Milano e presentato nel 2011. Complessivamente su Falconara sono stati effettuate cinque indagini epidemiologiche dalle quali sono emersi anche eccessi di tumori al seno nelle donne e nel colon retto negli uomini. In questo contesto, un comitato di cittadini attivissimi, Ondaverde,  in  quattordici anni di battaglie, oltre a far emergere tante criticità, ha contribuito a far crescere la consapevolezza nella popolazione e a sensibilizzare cittadini e istituzioni. “Cominciammo a indagare – spiega Roberto Cenci, portavoce di Ondaverde – perché avevamo la sensazione che intorno a noi ci fossero troppi casi di tumore al sangue e i dati ottenuti, di cui il Ministero della Sanità non sapeva nulla, ci confermarono la triste realtà che fece avvicinare a noi tantissime persone, famiglie intere che avevano avuto danni alla salute”.

In Sicilia la situazione non è migliore, con la sua alta incidenza di morti per mesotelioma pleurico a Biancavilla, di cui sarebbe responsabile l’uso di una pietra vulcanica simile all’amianto e ugualmente tossica. Stessa storia in Basilicata dove 800 contenitori di amianto da smaltire continuano ad avvelenare l’aria. L’elenco è ancora lungo con la Calabria dove una fabbrica di zinco, dopo essere stata dismessa nel 1999, ha lasciato scorie pericolosissime. Qui a mobilitarsi sono stati anche gli studenti di una scuola superiore che hanno compiuto indagini sul territorio documentando non solo l’inquinamento ma anche il presunto rapporto di causa effetto tra queste presenze oscure nella loro terra e la malattia e la morte, che qui colpiscono tanto di più rispetto al resto del territorio nazionale.

Come si gira si gira, la penisola appare disseminata dai Sin. Solo il Molise pare non ne abbia neanche uno.

A svelare questa Italia intossicata e a trovarsi suo malgrado anche in uno spiacevole retroscena, è stato tempo fa il giornalista Alfredo Di Giovampaolo in un servizio su Rai news 24 di giugno 2019, intitolato “L’Italia dei veleni”. Qui, oltre a fare nomi e cognomi dei responsabili di tanta devastazione, Di Giovampaolo aveva anche intervistato il ministro pro tempore all’Ambiente Sergio Costa. A lui il giornalista aveva chiesto il motivo dei ritardi inaccettabili della politica su questa terribile emergenza. “Il problema è burocratico – aveva spiegato al microfono di Rai news 24 il ministro – e la bonifica è rallentata da procedure, da numerosi passaggi che ripartono dall’inizio ogni volta che manca un documento, un’autorizzazione o una istituzione al tavolo della conferenza dei servizi”.  Costa, in quella circostanza, aveva assicurato di avere in programma un’accelerazione sul problema grazie ad un team di esperti preposto. Nel frattempo i Sin, che quando se ne occupò il giornalista della Rai erano 41, secondo i dati di settembre 2020 dell’Ispra (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale), sono aumentati di una unità arrivando a quei 42 che coprono una superficie a terra di 171.211 ettari. Per farsi un’idea basti pensare che quest’area rappresenta lo 0,57 per cento dell’intero territorio italiano.

Il giornalista Alfredo Di Giovampaolo

In questa storiaccia che si protrae da anni recando danni alla salute dei cittadini senza soluzione di continuità, la notizia non meno inquietante è però che Di Giovampaolo, da sempre impegnato per una informazione libera e di denuncia, è stato denunciato lui stesso per il servizio mandato in onda in quel giugno del 2019. Stessa sorte è toccata a Roberto Cenci, portavoce del Comitato Ondaverde di Falconara che in quel servizio aveva rilasciato dichiarazioni. In questi giorni è stato lo stesso inviato Rai a raccontare sul suo profilo Facebook tutto l’accaduto scatenando moltissime reazioni nel mondo dell’informazione e ricevendo la solidarietà di amici e colleghi, in centinaia di commenti, per il coraggio con cui affronta certi temi in genere non avvicinabili. Una vera sfida. “La vicenda dimostra che non è per niente facile stare sempre in prima linea – gli ha scritto Maurizio Righetti, responsabile della fascia notturna di Rai news 24 – ma è il dovere di un cronista. Si può solo dirti bravo ed essere orgogliosi di averti come collega”.  Fortunatamente, poi, la questione si è conclusa bene. Il giudice del Tribunale di Ancona, infatti, ha stabilito che quella querela non aveva motivo di essere perché il giornalista aveva esercitato il diritto di cronaca. Archiviazione anche per Roberto Cenci. Ma il fatto fa riflettere.

Dopo il sospiro di sollievo per l’esito della vicenda, Di Giovampaolo ha commentato amaramente la situazione in cui si è trovato, paradigmatica di un contesto in cui è diventato troppo pericoloso fare “veramente” il suo lavoro. “La vicenda giudiziaria non poteva che avere questa conclusione – ha scritto il giornalista – ma quello che lascia l’amaro in bocca è che ancora ci troviamo a dover combattere con le cosiddette querele temerarie”. Se il giudice non avesse archiviato il caso, infatti, Di Giovampaolo avrebbe dovuto difendersi in tribunale, pur avendo tutte le cosiddette “pezze d’appoggio” per realizzare quel servizio. E una volta dimostrata la sua non colpevolezza, come è accaduto, non avrebbe avuto nessun risarcimento. “Festeggiamo l’archiviazione – ha aggiunto quindi il giornalista – ma riflettiamo su questa norma assurda che serve solo a intimidire chi fa il mio lavoro”. La querela come deterrente, è divenuta infatti un’arma ormai troppo spesso usata contro l’informazione ed una delle cause del suo allontanamento dalla vocazione originaria. “Mi ritengo fortunato a poter svolgere questo lavoro con le spalle coperte dalla Rai – ha sottolineato il cronista – ma c’è anche chi, come i free lance, in questa giungla non è messo in condizioni di esercitare come si dovrebbe, cioè rischiando, andando a fondo. E questo – ha concluso – non è normale in un paese civile”.

Gloria Zarletti

2 Commenti

  1. maurizio marchi 20 maggio 2021 at 12:36 - Reply

    nel pur ottimo articolo vi siete dimenticati del SIN di Massa Carrara

    • Nicola Savino 20 maggio 2021 at 15:29 - Reply

      In particolare, di che cosa si tratta? Così lo aggiungo. Grazie della segnalazione dell’attenzione
      NIcola Savino

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