ROMA – Una zona rossa grande come tutta Roma e un ricovero per 150 animaletti da cortile – per lo più maiali e cinghiali – su cui pende una sentenza di condanna a morte. Mandante: la Asl Rm1 la cui giurisdizione comprende praticamente tutto il territorio dentro il Grande Raccordo Anulare e quindi anche la “Sfattoria degli ultimi”, come significativamente si chiama questo rifugio per gli sfortunati a quattro zampe.
All’azienda sanitaria della Capitale, come in tutta Italia, una struttura commissariale del Ministero ha delegato ogni decisione in merito al da farsi per contrastare la diffusione della peste suina che da febbraio minaccia gli allevamenti di tutta Italia. Da allora, in una città che peraltro non sa come risolvere il problema dell’invasione dei cinghiali per le strade, è iniziata una guerra di certificati e carte bollate che vede da una parte, appunto, l’Asl Rm1 e dall’altra i volontari del ricovero, in particolare Paola Samaritani che lo gestisce dopo aver accolto tutti i maiali e i cinghiali feriti o maltrattati. La Samaritani ha realizzato questo, che è il sogno di ogni animalista, sostenendo le spese per le cure degli ospiti con i proventi di donazioni e dedicandosi a questi animali come ci si dedica a tutti quelli che si tengono a casa o in giardino, che si portano al parco o in escursione. Lo ha fatto amandoli e dando loro una speranza di vita che potesse terminare in modo naturale e non al macello.
Ma qualcosa è andato storto ed il problema sta nella difficoltà a capire di cosa si tratti. Il posto è sito sulla via Flaminia, in via Arcore n. 92 e prima di tutto non è un allevamento ma un terreno all’aperto, regolarmente recintato due volte, dove gli animali possono vivere secondo natura, con dignità e addirittura un nome proprio con il quale essere chiamati uno per uno. Chi lo ha visitato prima che scattasse l’emergenza sanitaria – ora possono entrare solo i volontari con tute e presidi a norma – lo ha descritto come un “santuario per animali domestici”, “un luogo meraviglioso”, “la libertà umana in tutta la sua purezza”, “un piccolo paradiso terrestre”.
Paola Samaritani con l’aiuto di tanti volontari, da quando è partito questo progetto ha fatto di tutto per tenere il rifugio e gli ospiti nel miglior modo possibile, curando e osservando tutte le misure igieniche previste dalla legge. Lo garantisce Paolo Botti, volontario con un know how che gli viene dagli anni di lavoro come amministratore di un’azienda con 18 allevamenti e quindi esperto su tutto ciò che è necessario per tenere bene un gran numero di animali. Ha pagato lui, di tasca propria, i vaccini per la malattia di Aujeszky e ora garantisce che ogni ospite è stato microchippato e registrato. Ma, del resto, questa regolarità è cosa certificata. “La Asl, durante un sopralluogo – racconta Paolo – ha potuto verificare l’osservanza di tutti gli adempimenti e che non c’è nessun animale ammalato”. E allora perché questa mannaia che si deve abbattere sulla Sfattoria? “Davvero – continua il volontario – non si capisce perché tanto accanimento contro questi animali dal momento che la Sfattoria non è un allevamento intensivo, la normativa sanitaria viene rispettata e non esiste pericolo di contagio”.
Per tutti questi motivi la sentenza che nei giorni scorsi ha decretato l’abbattimento dei maialini ha sollevato le proteste di associazioni e animalisti di tutta Italia che ancora oggi si stanno dando il cambio in un presidio permanente, stazionando fuori dai cancelli e per impedire ogni eventuale azione di forza. Finora si sono presentate in via Arcore per esprimere la loro solidarietà alla Samaritani e proteggerla tantissime persone, da tutta Italia in un flusso continuo. Numerosi e sorprendenti gli interventi in difesa della Sfattoria per i cui ospiti, ora, la burocrazia non fa distinzione con i cinghiali malati che circolano nelle strade e nei parchi della città. La sentenza prevede che il 14 settembre vengano abbattuti con l’elettrochoc e trasportati per lo smaltimento, peraltro con costi esorbitanti. Il drastico provvedimento suona un po’ come suonerebbe a tutti quelli che, possedendo animali domestici, si vedessero ingiungerne di punto in bianco la condanna a morte per evitare la diffusione di una malattia infettiva.
Dalla Regione Lazio, sulla questione, non c’è stata nessuna dichiarazione mentre il primo cittadino Roberto Gualtieri, massima autorità sanitaria, ne è stato sollevato essendo stata la competenza sulla peste suina trasferita alle Aziende sanitarie. I politici italiani, per lo più in campagna elettorale, hanno preferito defilarsi ed evitare imbarazzi in vista delle vicinissime elezioni del 25 settembre. Sul posto si è recata l’europarlamentare Eleonora Evi e ha annunciato una sua visita la deputata Patrizia Prestipino.
Però, “fuori dai denti”, l’ha detta solo un insolito Vittorio Feltri che sui social ha parlato di questa sentenza come di un “abuso di potere”. “Non esiste e non lo si può permettere – ha scritto – in nome della legge e della giustizia, dell’etica e della morale”. Un abuso di autorità infatti, è quello che hanno denunciato gli attivisti al Tar che ha sospeso il provvedimento fino allo scorso 18 agosto chiedendo ulteriore documentazione alle parti in causa. Cosa succederà a Roma con tanto associazionismo green in subbuglio si vedrà soprattutto nelle urne. “Non abbiamo problemi – precisa Paolo Botti – noi abbiamo tutte le carte in regola, aspettiamo di vedere le loro”.
Gloria Zarletti
gli animali nn si toccano
sono tutti sani
registrati come fa compagnia
cisa vogliono questi?
eliminate gli allevamenti intensivi anzi nn mangiate più carne gli animali si devono rispettare e basta
Giu ‘ le mani dalla Sfattoria
Madonna che brutta notizia ..sembrava che tutto si potesse risolvere..Comunque questi delinquenti non credo arrivino a tanto, troppa attenzione mediatica