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Sepulveda, “una vita di formidabili passioni”

di | 2020-04-24T18:19:39+02:00 26-4-2020 6:15|Cultura, Sezione 4|0 Commenti

PERUGIA – Dopo la cremazione le sue ceneri – lo ha annunciato la moglie, poetessa, sposata due volte – verranno sparse in Patagonia, terra d’elezione, nell’Oceano Pacifico. Per dirla con un altro grande cileno, Pablo Neruda: “Né aria, né fuoco, né acqua, ma terra, solo terra saremo, e forse alcuni fiori gialli”. Nemico e combattente in armi contro le dittature e lo sfruttamento dell’uomo e della natura, amico e propugnatore della libertà e dei diritti umani: un uomo vero, Luis Sepulveda (Ovalle, 4 ottobre 1949 – Oviedo, 16 aprile 2020), di quelli con la U maiuscola. Lo ha stroncato, dopo 51 giorni di lotta, il Coronavirus in una stanza dell’ospedale di Oviedo, nelle Asturie in Spagna. Era rimasto contagiato, con la moglie Carmen Yanez – vittima delle torture, come lui, peggio di lui, degli squadristi di Pinochet – in Portogallo, a Povoa de Varzim, dove si era recato per prendere parte ad un festival letterario.

Il grande scrittore latino-americano aveva visitato più volte pure l’Italia, che amava (incantato da Venezia) e l’Umbria (di sicuro Orvieto, Assisi, Perugia, ma forse anche altre città della regione) e di Francesco di Assisi aveva parlato in uno dei suoi libri più straordinari “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”. Amava ripetere, Luis, per spiegare la sua prosa secca, lucida e coinvolgente, una frase di Hemingway: “Parole da venti centesimi e nessuna costruzione barocca”. Tra i suoi primi maestri di vita – dalla città natia, Ovalle, si era poi trasferito con la famiglia a Valparaiso – il nonno (Geraldo Sepulveda Tapia, anarchico andaluso emigrato dalla Spagna per sfuggire ad una condanna a morte) e lo zio Pepe, anche lui della stessa fede politica. Da ragazzino si tuffava, estasiato, sulle pagine di Salgàri, Conrad, Melville.

Cresciuto, aveva aderito alla Gioventù Comunista ed aveva cominciato a collaborare da giornalista al “Clarìn” e ad una radio. A venti anni il suo primo libro (“Cronicas di Pedro Nadie”) con cui vinse una borsa di studio di cinque anni, grazie alla quale era potuto andare a studiare a Mosca. Dalla Russia, però, era stato cacciato, dopo pochi mesi, per i suoi rapporti con i dissidenti e, pare, anche per una relazione allacciata con l’insegnante, maritata, di Letteratura slava. Al ritorno in Cile era stato espulso dai Giovani Comunisti ed era entrato a far parte dell’Esercito di Liberazione Nazionale in Bolivia. Sempre continuando la sua attività di scrittore, giornalista, regista teatrale (il suo primo sogno giovanile) nel segno dell’attività politicamente della sensibilità ecologica e sociale. Per vivere aveva gestito persino una cooperativa agricola.

Alla fine degli anni Sessanta aveva aderito al Partito Socialista e aveva partecipato, in prima linea, “al bel sogno dell’emancipazione” di Salvatore Allende. Vinte le lezioni (4 settembre 1970), il neo-presidente, non fidandosi della polizia e dei carabinieros, aveva formato, su base volontaria, i GAP (Gruppo amici del presidente), di cui all’inizio del 1971 Sepulveda entrò a far parte. Le riforme sociali e politiche di Allende si scontrarono subito con la feroce resistenza dei conservatori e dei militari ed arrivò così l’11 settembre 1973: “il giorno maledetto”, come lo ha definito lo scrittore. “Già l’alba si presentò minacciosa, coperta come era da nuvoloni neri”, aggiunse. Contro il palazzo presidenziale de La Moneda a Santiago del Cile si accanirono i tank dell’Esercito e gli aerei dell’aviazione. Con una decina di poliziotti e con tredici esponenti del GAP, tra i quali “Johny” (al secolo Oscar Reinaldo Lagos Rios), gli assediati resistettero per molte ore. Constatato il crollo del suo programma e tradito dai militari, Allende scelse stoicamente il suicidio e, subito dopo, l’esercito di Augusto Pinochet, nel pomeriggio, riuscì a irrompere nel palazzo. I coraggiosi resistenti vennero disarmati e trascinati nella caserma Tacna, dove furono tutti torturati. Anche per lo smacco subito dagli assalitori, fermati da un pugno di uomini, i poliziotti vennero fermati e poi rilasciati, mentre i volontari, “amici personali” del presidente, invece seviziati, assassinati e sepolti in una fossa comune.

E Luis? Quel mattino, con altri volontari, era stato inviato a difendere una centrale idroelettrica alla periferia di Santiago. Il suo gruppo tentò di tornare in centro per dar man forte agli asserragliati, ma le forze risultarono impari: i componenti della squadra vennero bloccati, arrestati, sottoposti a indicibili tormenti nella caserma Tucapel. Per sette mesi Sepulveda rimase ristretto in una cella così bassa da non potersi alzare in piedi. Amnesty International, alla fine, con continue pressioni riuscì a far mutare la detenzione in otto anni di esilio. Così lo scrittore iniziò il suo vagabondare per il mondo: Brasile, Paraguay, Ecuador. Con la collaborazione dell’UNESCO, Sepulveda visse, poi, alcuni mesi nelle foreste amazzoniche con la tribù degli Shuar (esperienza dalla quale trasse il libro “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”). Quindi il Nicaragua (coi combattenti), la Germania (Amburgo, dove collaborò con Greenpeace Peace fino al 1986, raccontando pure le lotte, tra i marosi dell’Oceano contro i pescatori giapponesi dediti alla sanguinosa caccia alle balene, sorta di rivisitazione del ”Moby Dick” di Melville, letto da ragazzo), la Patagonia (dove scrisse “Patagonia express – Appunti dal sud del mondo”), la Francia (Parigi, in cui ottenne la cittadinanza), infine la Spagna (a Gijòn). La sua storia, la sua vicenda umana, senza enumerare la lunga lista dei suoi fascinosi lavori letterari, può essere riassunta col titolo di uno dei suoi libri: “Ingredienti per una vita di formidabili passioni”.

Elio Clero Bertoldi

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