ROMA – Era ormai ottantaquattrenne e tuttora saliva sul palcoscenico, convinta di poter donare al pubblico ancora qualcosa. Ed aveva ragione. La milanese scaligera Carla Fracci, grandissima ballerina classica e contemporanea, direttrice di Corpi di Ballo (alla Scala, all’Opera di Roma da direttrice nel 2000-2010), persino attrice cinematografica (interpretò il ruolo di Giuseppina Strepponi nello sceneggiato su Verdi del 1982) , se metteva piede sul palcoscenico anche a settant’anni, con nuove e moderne coreografie adatte alla sua età, conquistava il pubblico, che non applaudiva solo la stella di anni prima, ma colei che riusciva a trasmettere senza fallo l’intensità dei sentimenti, tutti.
Ballò coi grandi del suo tempo, con Nureyev, con Erik Bruhn, con Vassiliev. Lo snodarsi della abbacinante carriera della Fracci, inizialmente alla Scala di Milano, poi per anni negli USA, indi in tutti i teatri del mondo, ha un suo culmine nel rapporto di danza col famoso ballerino russo Rudolf Nurejev, dal difficile carattere, che allontanava impietosamente le colleghe, di ogni nazionalità. Solo la Fracci riuscì a danzare con lui senza danno e con successo, comprendendo (unica) la sofferenza nascosta e profonda di Nurejev – nonostante l’eccezionalità dell’artista – per la mancanza di autentici affetti.
Ė vero che la grande Fracci, figlia di un tranviere e cresciuta durante la guerra fra contadini, ne conservava talora i trattti. Una volta ebbe a dire che – se andava a Napoli – non rinunciava mai agli spaghetti: e chiedendole se li preferiva con le vongole, rispondeva: “No: solo cu a pummarola ‘n coppa”. Il compimento degli 80 anni della danzatrice fu celebrato proprio al Teatro S.Carlo di Napoli nell’ottobre 2016 – insieme con la nomina di Giuseppe Picone a direttore della Scuola di Ballo del Teatro – mentre Carla interpretava “La Musa della Danza. Auguri Carla!”, brano coreografato dallo stesso Picone per lei, insieme con “Domani futuro di giovinezza”.
Calava invece sul palco una penombra senza speranza, in un gioco di specchi allusivo alla realtà e al ricordo di essa. Un gigantesco Satiro in perizoma (Giuseppe Picone) alludeva a “L’après midi d’un faune”- capolavoro musicale di Debussy , danzato mirabilmente dalla Fracci –che svaniva piano nell’ombra, mentre i ‘port de bras’ di lei, ripetuti e battuti nella semioscurità onirica, sembravano richiamare l’oscurità della morte, e l’immutabilità della vita nel ricordo. Tale ella sarà sempre: per noi, per l’Italia, per il mondo intero.
Paola Pariset
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