Estate. Tempo di vacanze, di mare, sole e apnea. Apnea per tutte quelle famiglie che aspettano da mesi una boccata di ossigeno dall’Inps o dal datore di lavoro che, anche a causa della pandemia, ha dovuto ridimensionare o chiudere i battenti. E se un cartello con scritto “Vendesi attività” scorre quasi inosservato agli occhi ciechi del passante, quelle due parole hanno il sapore della disfatta per tanti lavoratori che, dismessi le divise e depositati i badge, oltrepassano nelle acque limacciose di cassintegrati o ancora più in quelle putride dei disoccupati.
I dati sulla situazione occupazionale italiana fanno paura, illustrano un disastro che va ben oltre un dato numerico e investe come un cancro il tessuto economico e sociale esasperato dalla chiusura forzata. Gli ammortizzatori sociali o i provvedimenti a favore del rilancio economico sembrano non attecchire e suonano come slogan sterili, come pugni allo stomaco perché intanto, finito lo stipendio e quel misero gruzzoletto, ci si trova nella disperazione silenziosa di dover comunque architettare un pranzo e una cena, di comprare il latte e i pannolini. E la tensione si impenna quanto davanti a una lista movimenti in entrata stagnante, si ha la sensazione di aver perso la dignità di uomo, di padre o madre di famiglia, di essere un fallito sebbene ci si è alzati sempre alle 5 del mattino per anni e si è riuscito a ottenere un mutuo per comprare un bilocale in un condominio di venti famiglie alla periferia di Milano, che si sta ancora pagando ogni fine mese. E ci si accartoccia sotto il peso delle preoccupazioni, il corpo sembra sfarsi, le spalle incurvarsi e lo sguardo perdersi nel vuoto in cerca di una risposta, di una soluzione per fare fronte alle necessità più immediate, alle utenze che si stanno ingiallendo nella cassetta postale pigiate tra la pubblicità di una vacanza in costiera amalfitana, le promozioni della Coop e le proposte di finanziamento a tassi agevolati.
E quando la cassa integrazione o la disoccupazione tardano a giungere, nonostante le quotidiane chiamate al numero verde, per conoscere a che punto è l’iter della pratica, e si è costretti a chiedere aiuto ai parenti o agli amici per poter fare la spesa, o ancor peggio a elemosinare gli alimenti alla Caritas (come dimenticare il lungo serpentone davanti ai banchi alimentari), quello è il momento in cui ci si sente svuotati della dignità di persone e monta dentro una rabbia, una disperazione che purtroppo è spesso ignota a chi ci governa e che non ha mai osservato gli occhi liquidi di un padre che non può garantire il benessere del proprio figliolo.
Quegli occhi sono l’emblema di un fallimento politico ed economico, di una democrazia mancata che va al di là della sterile cifra numerica: dietro ogni numero c’è una famiglia e dentro una famiglia c’è una sofferenza talvolta taciuta, talvolta urlata ma che comunque non riesce a smuovere le coscienze di chi, ammorbato dal denaro e dal guadagno facile, preferisce delocalizzare le proprie aziende in paesi in via di sviluppo dove il costo della manodopera è irrisorio e le leggi meno stringenti. Intanto i giorni passano, i mesi pure, e la vita ruota attorno a quella speranza che l’assegno di disoccupazione arrivi perché settembre è alle porte e ci sono anche i libri da acquistare per il nuovo anno scolastico che, Covid permettendo, vedrà i ragazzi in classe a bordo di banchi nuovi e girevoli che, assicura la ministra, cambieranno la didattica ma questa è un’altra storia. Triste.
Tania Barcellona
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