NUORO – La Sardegna è una terra conosciuta in tutto il mondo per la sua natura incontaminata, le spiagge paradisiache, le acque cristalline e il patrimonio archeologico. È una terra molto antica, un’isola misteriosa ricoperta di enigmi che nasconde miti e leggende che si tramandano dall’antichità e che contribuiscono a intensificare il fascino e il mistero che contraddistinguono questa terra. Anticamente ci si riuniva attorno ai focolari domestici dove, a fine giornata, la famiglia si accalcava per tramandarsi i cosiddetti “contos de’ foghile”, i racconti del focolare. Nel tempo molti di questi si sono persi, altri hanno subito modifiche e adattamenti in base ai desideri dei bimbi e a causa del passaggio orale da generazione in generazione, ma molti perdurano e sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo del popolo sardo.
Ogni singolo paese e città della Sardegna ha le proprie leggende e storie tramandate di padre in figlio. Riguardo all’origine e alla forma della regione, antiche leggende sarde raccontano che anticamente esisteva un unico grande e ricco continente dal nome Tirrenide, dove gli uomini vivevano felicemente e spensierati. Un giorno però Dio si infuriò e i mari si agitarono. L’oceano, in poco tempo, sommerse il lussureggiante continente distruggendolo. Solo allora Dio, preso dal rimorso, comprese il danno che stava arrecando agli uomini, così pose fine alla sua incontenibile ira e salvò una piccola porzione di terra emersa posandovi sopra il suo piede. Questa terra assunse così la forma di un’impronta e prese il nome di “Ichnusa”, termine derivante dal greco. Ιχνούσσα (Ichnussa) era il nome con cui anticamente era conosciuta la Sardegna, regione molto rocciosa e priva di vegetazione. La traduzione letterale è infatti “impronta” perché la conformazione dell’isola ricordava ai primi esploratori quella di un’orma lasciata indossando un sandalo. Secondo un altro mito, le divinità crearono la terra dalla materia contenuta in un sacco. Quando restarono soltanto dei sassi li lanciarono in mare e li calpestarono dando origine all’isola della Sardegna.
Una delle figure più note delle leggende sarde è quella de S’Accabbadora, colei che si tramanda ponesse fine alle sofferenze degli uomini in fin di vita per volontà della famiglia o del moribondo. In sardo accabbai significa infatti terminare, finire. L’Accabbadora era colei che portava la morte a coloro che si trovavano in condizioni di grave malattia. Era descritta come una donna dai tratti oscuri e dal compito inquietante. Vestiva di nero, agiva solo di notte a viso coperto e, dopo aver eseguito alcuni riti magici, poneva fine alla vita del sofferente soffocandolo con un cuscino, dandogli un colpo ben assestato dietro la nuca, dandogli colpi alla fronte con un bastone d’olivo o addirittura strangolandolo tra le sue gambe. Per gli antropologi questa figura aveva il compito di confortare le famiglie durante gli ultimi istanti di vita e accompagnare i moribondi nel passaggio dalla vita alla morte. Per questo, all’interno della comunità in cui agiva, aveva un importante ruolo sociale, culturale e religioso.
Sa Filonzana era la parca che secondo le leggende sarde trascorreva il tempo a tessere un filo sottile con il suo archetto che rappresentava la sorte. Per questo deteneva il potere di vita e di morte. La sua origine risale alla notte dei tempi. Era raffigurata come una donna anziana vestita con un lungo abito nero, come da usanza fra le donne sarde che avevano subito un lutto. Aveva una gobba molto pronunciata e il volto coperto da una maschera grottesca. Si racconta che al collo portasse sempre appese un paio di forbici e che non le fosse consentito entrare nelle case di persone malate o donne incinta, dato che non sarebbe stata di buon auspicio per loro. Camminava tutta storta e in modo poco aggraziato e veniva rappresentata visibilmente gravida. L’aspetto conferitole dagli abiti e soprattutto dalla maschera la rendeva spaventosa, cattiva, arcigna, orribile. Gli anziani, nei loro racconti, dicevano che tutti la temessero ma avessero per lei grande rispetto.
Un’altra figura leggendaria presente in molti racconti, e tra le più temute in Sardegna, era una strega conosciuta come la Coga. Agiva durante la notte, aveva un aspetto diabolico, era particolarmente brutta, della peluria diffusa in tutto il corpo, unghie molto lunghe e una piccola coda in ferro sulla schiena; talvolta la schiena era coperta da una croce pelosa. Inoltre, aveva il potere di mutare forma, trasformandosi in uccelli o animali come barbagianni, gatti, cani, serpenti, mosche e uccelli notturni. Nel Sud della Sardegna, soprattutto nella zona del Campidano, la parola Coga identificava la strega. Il termine sembrerebbe di derivazione latina e verrebbe dal verbo coquere, cioè cucinare, per l’abilità delle streghe, maghe o fattucchiere di mescolare ingredienti e cucinarli per pozioni magiche e incantesimi. Le mamme, per proteggere i propri figli, erano solite mettere accanto al lettino un bastone di canna e un rosario benedetto, oppure un oggetto con molti elementi da contare, come un pettine con tanti denti, oppure della cera vergine nella serratura della porta di casa o ricorrevano alla filosofia del capovolto. I vestitini del neonato erano messi al rovescio, le scope posizionate con la spazzola all’insù, o due spiedi erano messi a forma di croce su un treppiedi rovesciato.
Dal momento che il mondo dei morti è specularmente opposto a quello dei vivi, la Coga, osservando quei dettagli, avrebbe pensato di trovarsi nel mondo dei morti e non dei vivi, e non potendo nuocere ai defunti, non avrebbe fatto male ai neonati in vita. Le leggende tramandano che rischiavano di essere delle Cogas le settime figlie e anche le donne nate la notte di Natale a mezzanotte precisa. Per evitare che questa sciagura si abbattesse nelle case delle famiglie, sotto il letto delle partorienti era posizionato un treppiede. I primogeniti nati a febbraio avevano il potere di richiamarle. Gli anziani, nei loro contos, affermavano che questo era un destino crudele e immutabile perché chi nasceva Coga non avrebbe mai potuto opporsi al Fato, non sarebbe potuta guarire dal suo stato né frenare la sua indole. Doveva rassegnarsi, anche a rischio di ferire i propri cari, bere il loro sangue, portarli alla morte. La colpa maggiore era quella di uccidere i neonati, soprattutto se non battezzati, succhiando loro il sangue. Per questo la Coga era chiamata anche strega-vampiro.
Nell’immaginario collettivo non era una figura da odiare ma solo da temere perché Dio o il Demonio aveva scelto per lei questo percorso destinato a fare del male procurando tanto dolore e sofferenza alle altre persone. Altra figura presente nei miti e nelle leggende isolane era quella del Su Tragacorgios, il messaggero della morte. Era descritto come un individuo enorme, dall’aspetto indefinito, vestito di pelli di toro che vagava per le vie dei paesi portando messaggi funesti di morte e lutto. Il suo nome deriva dall’unione dei termini traga (trascinare) e corgios (pelli). Era descritto come un essere malvagio, rifiutato dal regno dei morti, non gradito al cielo e nemmeno al purgatorio. Annunciava l’arrivo della morte. Vagava senza meta alla ricerca di pace e di un’anima da portare via. Emetteva muggiti spaventosi e sfregando le pelli di toro sui selciati e contro le pareti delle case provocava rumori sordi e terrificanti. Le sue vittime erano prevalentemente i giovani che provavano ad affrontarlo. Su Tragacorgios poteva essere allontanato con una messa, la sa miss e s’arretiru, la messa del ritiro, celebrata da un numero dispari di sacerdoti, solitamente 7.
Un’altra leggenda sarda è quella di Luxia arrabbiosa. A Morgongiori, piccolo paese della provincia di Oristano, esiste un complesso di menhir, conosciuti come Su fruccoi de Luxia arrabbiosa, ossia il forcone di Lucia arrabbiata. Un’antica leggenda rivela che queste strutture avrebbero ospitato Lucia, una bellissima ragazza, un po’ fata e un po’ strega. Lucia ogni giorno si recava sul colle Prabanta, al confine tra il territorio di Pompu e quello di Morgongiori, dove lavorava e cuoceva il pane. Nei pressi del Monte Arci, lungo la strada che percorreva quotidianamente, si trovava una grotta dove viveva un fauno, che si era perdutamente innamorato di lei. Questo amore, però, non era ricambiato dalla bella Lucia. Una mattina il fauno uscì dal proprio rifugio e inseguì fin sopra il colle la ragazza che lavorava come al solito. D’improvviso lui la raggiunse e tentò di violentarla ma, nello scontro, la ragazza prese un lungo bastone col quale uccise il fauno. Da quel momento il forno, il pane, il bastone e il fauno divennero pietra assumendo la conformazione del complesso di menhir oggi noto come Su fruccoi de Luxia arrabiosa.
Lucia, come strega era avara e assai cattiva. Si narra vivesse in un nuraghe e che rifiutasse di offrire aiuto a chiunque fosse bisognoso e le chiedesse qualcosa. Aveva un fuso magico che custodiva le sue ricchezze di giorno, mentre lei dormiva, perché trascorreva la notte a filare al telaio. Durante un freddo inverno due fratelli molto poveri andarono a rubare dall’orto di Lucia della legna. In quell’orto era cresciuto un melograno magico che lasciò cadere un frutto sulla testa di uno dei fratelli uccidendolo. L’altro cercò di scappare ma il fuso magico della ragazza la avvisò di quel che stava accadendo. Lei, allora, ordinò al fuso di gettare il ragazzo nel forno, ma questi riuscì ad afferrare il magico strumento e a buttarlo nel forno, finendo per bruciarlo. Lucia cadde in uno stato di disperazione che la tramutò in una cicala che ancora oggi gira e frinisce attorno al suo nuraghe.
I racconti dei nostri antenati, che nel tempo si sono tramandati di padre in figlio, rivelano l’ordine profondo che regola la vita e la morte, i successi e le sconfitte, l’avvicendarsi delle stagioni, tutto ciò che è accaduto e che accadrà. I miti e le leggende nascono dal bisogno di spiegare la realtà, di comunicare messaggi di difficile comprensione, di giungere al significato profondo delle cose in modo inconscio. Anche quando raccontano una realtà violenta, orrenda e dolorosa sono narrazioni magiche e suggestive che permettono di riscoprire le proprie radici, la cultura e la storia di un popolo, i suoi comportamenti e i suoi modi di affrontare la vita e la realtà quotidiana, anche esorcizzando le paure che accompagnano le nostre giornate.
Virginia Mariane
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