NUORO – Le regioni italiane stanno continuamente cambiando colore e purtroppo stanno sempre più acquisendo tonalità da incubo. Rosso e arancione prevalgono nella cartina della penisola ma una sola regione sembrava esente dalla paura Covid: la Sardegna, per tre settimane consecutive risultata bianca. Ma i sogni e le speranze dei sardi si sono infranti, e da lunedì 22 marzo anche la Sardegna diventerà arancione e nei 4 giorni di Pasqua, dal 4 aprile al 6 aprile si omologherà a tutte le altre regioni italiane diventando rossa. Dalle stelle alle stalle, come si suol dire, dal Paradiso all’Inferno. I numeri della curva epidemiologica mostravano un leggero aumento, seppure sempre al di sotto delle soglie; per questo, sebbene nell’isola si fossero individuati diversi casi di Covid, anche con variante inglese, e alcune zone del territorio isolano fossero state preventivamente parzialmente chiuse perché definite “rosse”, la paura di un nuovo lockdown non sembrava scuotere i sardi.
In una manciata di ore però tutto è cambiato, sebbene ancora il ministro della salute Speranza si sia preso 24 ore di tempo prima di firmare l’ordinanza per cambiare colore. Secondo l’Ats-Ares, infatti, si può dimostrare, sulla base di un dossier inviato a Roma, come la Sardegna non rientri nello schema rigido e troppo limitativo adottato per le altre regioni italiane e, secondo l’assessore alla sanità Mario Nieddu, sarebbe necessaria una revisione immediata dei criteri che provocano i passaggi delle regioni da una zona di colore all’altra, perché ritenute “inadeguate per la gestione delle realtà locali”, come dichiarano anche le testate dei principali quotidiani regionali. Resta infatti bassa la classificazione complessiva di rischio e ben al di sotto le soglie critiche, le percentuali dei posti letto occupati da pazienti Covid nelle terapie intensive e nei reparti di medicina, classificabili al 12%.
La Sardegna in zona bianca era una delle prerogative del governatore Solinas e dell’ATS, raggiunte attraverso le attività di screening itinerante in tutta l’isola, il buon senso delle persone e lo stretto rispetto delle regole imposte dai vari DPCM che da un anno a questa parte hanno condizionato le nostre vite. Era un obiettivo importantissimo quello raggiunto, e il monito ai cittadini era e rimane tutt’ora quello di non abbassare la guardia proprio ora. I dati più recenti sono in miglioramento rispetto a quelli che nel suo ultimo monitoraggio ha rilevato l’Istituto superiore di sanità, i contagi per 100.000 abitanti si attestano al di sotto delle 50 unità e i malati in terapia intensiva e non intensiva non presentano dati allarmanti. È comunque vero che nelle ultime ore i contagi siano saliti a 134, pochi rispetto alla situazione peninsulare ma comunque un segnale che la situazione covid, anche da noi, sta cominciando a peggiorare, sebbene siano già state somministrate alla popolazione 162.000 dosi di vaccino e se ne siano già programmate altre da fare agli anziani e al personale del mondo della scuola. Purtroppo non si esaurisce il numero dei morti che alla data del 19 marzo sono arrivati a colpire più di 1200 persone dall’inizio della pandemia.
Troppo poco è durato il fatto che le attività abbiano ripreso a funzionare lentamente e gradualmente, che bar e ristoranti siano rimasti aperti la sera, che alcune palestre, alcuni luoghi della cultura e musei abbiano ripreso le loro attività, che gli abitanti abbiano avuto il coprifuoco a partire dalle 23,30 fino alle 5 della giornata successiva. L’economia del paese in questi lunghi mesi è stata fiaccata, calpestata, messa in ginocchio. La ripartenza ci stava dando una speranza ma tutto si è vanificato e si è disciolto in una bolla di sapone, sebbene fossero stati richiesti a tutti attenzione e scrupolo nei comportamenti. Forse l’ha vista lunga l’assessore degli Enti Locali, Finanze e Urbanistica della Regione Sardegna, Quirico Sanna, che nelle scorse settimane ha più e più volte strigliato la popolazione sarda richiamandola al rispetto delle regole che, a suo parere, spesso sono state contravvenute, e a un maggior senso di responsabilità dei cittadini, temendo in una ricaduta che, come un fulmine a ciel sereno, poi si è davvero ripresentata infiacchendo gli animi e inasprendo la popolazione.
Il presidente della Regione Solinas, per salvaguardare l’isola e i suoi abitanti, aveva imposto, a chiunque volesse entrare in Sardegna, da lunedì 8 marzo, il test rapido. Se il risultato fosse stato negativo si avrebbe avuto accesso tranquillamente, in caso di positività sarebbero scattati i protocolli previsti a norma di legge. Inoltre, in vista dell’estate, se la Sardegna avesse mantenuto il primato di zona bianca, aveva previsto di far entrare nell’isola solo i vaccinati contro il Covid o chi si si sarebbe presentato con un certificato di negatività al coronavirus. Non si perdono comunque le speranze e per garantire una stagione in sicurezza, si sta insistendo per avere la possibilità di investire in una campagna massiccia di vaccinazione in modo da ottenere la cosiddetta “immunità di gregge” perché la Sardegna sarebbe la prima Isola interamente immunizzata. Il Covid ci ha costretti a drastici cambiamenti di vita, abbiamo interrotto le nostre abituali relazioni sociali non uscendo di casa, se non con gravi limitazioni e sempre accompagnati dall’autocertificazione che attestasse il perché della nostra uscita dalle abitazioni, abbiamo vissuto e subito il dramma della solitudine e dell’isolamento, soli con la nostra famiglia e, nei casi estremi, soli nella nostra famiglia.
Abbiamo però riscoperto alcune cose che temevamo di aver perso nel tempo, abbiamo preso coscienza delle nostre fragilità, delle nostre insicurezze e abbiamo capito il valore della vicinanza, dell’ascolto, del silenzio, della nostalgia, della condivisione, della solidarietà, del rispetto. Il Covid è stato ed è una palestra di vita. Chi lo ha vissuto, come me sulla propria pelle, ha avuto paura di non farcela, ha visto persone care soffrire, riprendersi o non avere la forza fisica di combattere per andare avanti. Questo resta, ti segna nel profondo e apre nel tuo animo interrogativi laceranti sul futuro. Da lunedì ricadremo nel calvario che stanno vivendo le altre regioni italiane, perché siamo passati dal bianco all’arancione senza preavviso. Torneranno perciò i divieti di uscire dal proprio Comune di residenza o di domicilio, eccetto che per comprovati motivi di salute, lavoro, urgente necessità autocertificati, tornerà il coprifuoco alle ore 22.00, ristoranti e bar vedranno ancora una volta la serranda abbassata per il pubblico tutti i giorni e per tutto il giorno, eccetto che per l’asporto e la consegna di cibo a domicilio, i centri della cultura, dello sport e di aggregazione si vedranno nuovamente chiusi e anche le scuole temono una didattica sempre più a distanza e per niente inclusiva. Se vogliamo che la normale routine si ripristini occorre essere meno sciagurati, più guardinghi e attenti, più prudenti e timorosi, perché, come stiamo notando, quanto si è finora guadagnato per sé e per gli altri ci può essere levato senza prova d’appello in men che non si dica.
L’esperienza che stiamo vivendo rischierà di lasciare un segno duraturo e forse rivoluzionario sul nostro modo di agire e di rapportarci con gli altri, ma se siamo riusciti a guadagnare la zona bianca una volta, non gettiamo tutto alle ortiche per stoltezza, superficialità o mero egoismo, impegniamoci per riconquistare questo tanto agognato primato e cerchiamo di mantenerlo.
Virginia Mariane
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