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Saper “vendere l’arte”: il genio di Bertozzi

di | 2024-06-24T13:52:44+02:00 23-6-2024 5:30|Arte, Sezione 7|0 Commenti

ROMA – Non c’è solo l’arte in senso stretto, quella che dà prova del talento e che si realizza in un’opera. Ce n’è, in realtà, anche una di venderla, quell’arte, e forse quest’ultima è anche più sottile e raffinata perché richiede cultura, gusto, capacità di cogliere i cambiamenti della mentalità se non, addirittura, di promuoverli. Insomma, dietro la compravendita di un quadro o di una scultura, c’è sempre una lettura dei tempi, una storia fatta di intuito e relazioni tra anime.

Lo sa bene Giorgio Bertozzi, nel cui mestiere di gallerista sono confluite tutte le esperienze di una vita, la sua passione per la storia “di cui l’arte è il più interessante documento”, e poi il piacere di tessere rapporti e far nascere a livello internazionale sodalizi artistici, nuove mode, amicizie, anche amori. Perché no? Tutti spunti, quelli dati dal suo lavoro, che sono diventati materia di un libro non a caso intitolato “L’arte di vendere l’arte” (Ed. Collezione da Tiffany), in uscita a settembre, in cui Bertozzi traccia un profilo del venditore, o meglio dell’intenditore o curatore d’arte.

Che, detta così, potrebbe sembrare un mestiere, banalmente, come tanti altri. Dietro, invece, vi si nasconde la formula magica dell’esistenza o, se vogliamo, della convivenza: osservazione, pazienza, rispetto, responsabilità, estro. Qualche cenno biografico dell’ex gallerista può aiutare a capire meglio. Bertozzi, ex direttore di marketing di una azienda americana, ad un certo punto sceglie di cambiare vita. Apre una galleria in via Urbana al centro di Roma e lì matura un progetto più ampio che lo porta a chiudere l’attività perché per lui l’arte è interazione, crescita, esperienza, viaggio. Non gli basta lo spazio seppur prestigioso di quella galleria. A questa aspirazione fa da spinta l’amore per Istanbul, città simbolo di quella storia da sempre centro della sua curiosità, popolosa e giovane, laboratorio di idee, da sempre nodo di scambio di rotte commerciali e culturali e di un certo intellettualismo cosmopolita.

Decide di farsi da tramite per una collaborazione tra artisti italiani e quelli turchi. Ne nascono eventi, viaggi, un’agenda piena di vernissage e finissage dove il mondo intero si incontra nelle gallerie romane e poi in quelle turche: un andirivieni di motivi, spunti, contaminazioni e tanta bellezza. Ma l’obiettivo di Bertozzi è quello di scovare talenti nuovi, quelli che rimarrebbero nascosti se nessuno accendesse su di loro i riflettori, investendoci, creando interesse intorno alle loro opere e al messaggio in esse contenuto. E quindi ecco dei giovani emergere alla ribalta grazie agli eventi da lui organizzati: tra gli italiani sono ormai famosi i e riconosciuti Ettore Frani e Roberta Coni, nelle cui opere come curatore d’arte che ha saputo guardare i loro talenti in prospettiva, li ha promossi, se ne è fatto carico con risultati più che soddisfacenti.

“Come in tutti i settori – spiega lui – l’artista non ce la fa a diventare famoso solo perché è bravo, a parte qualche eccezione, e la promozione è necessaria”. E si sa: l’arte quando si esprime vuole un pubblico che la fruisca, è come un discorso e come tale ha bisogno di un destinatario ma ci vuole qualcuno che faccia da mediatore. Parte di questo gioco è l’intuito del gallerista o intenditore d’arte o promoter che dir si voglia. Il suo “fiuto” gli fa capire chi vuol comprare cosa, lo guida nel coniugare la spinta motivazionale del fruitore con l’opera che la sappia interpretare. Psicologia, sintesi, coraggio e tanta voglia di vivere sono le parole chiave di questa attività.

Oggi Giorgio Bertozzi mette a disposizione la sua esperienza in un libro ma soprattutto si gode le buone relazioni nate dalla sua amata attività. Questa non gli è mai costata fatica, anzi, gli ha permesso di stare sempre al centro di cose belle e di promuoverle, crearne di nuove mettendole in contatto tra loro. Quasi come fosse, più che un lavoro, un hobby.

Gloria Zarletti

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