NUORO – “Sa die de sa Sardigna” o “Sa die ‘e sa Sardigna” (in italiano “Il giorno della Sardegna) è una giornata di festività istituita dal Consiglio regionale della Sardegna il 14 ottobre 1993 nominandola “Giornata del popolo sardo”. La festività vuole ricordare la sommossa del 28 aprile 1794 che costrinse alla fuga da Cagliari il viceré Vincenzo Balbiano e i funzionari sabaudi, in seguito al rifiuto di soddisfare le richieste dell’isola titolare del Regno di Sardegna di riservare ai sardi le cariche pubbliche, un Consiglio di Stato a Cagliari, vicino alla sede del viceré, e l’istituzione a Torino di un Ministero per gli affari della Sardegna. Il governo piemontese rifiutò di accogliere qualsiasi richiesta, perciò la borghesia cittadina, con l’aiuto del resto della popolazione, scatenò il moto insurrezionale. Il movimento di ribellione che attraversò tutta l’isola, in prossimità con gli eventi rivoluzionari francesi e dei fermenti sorti in varie parti d’Europa come Irlanda, Polonia, Belgio, Ungheria, Tirolo, era iniziato già intorno al 1780 ed era proseguito negli anni toccando tutta l’isola. Le ragioni erano di ordine politico ed economico insieme.
Solo nel 1796, rientrata la rivolta, alcune richieste furono accolte. “Sa die de sa Sardigna” è la festa del popolo sardo che ricorda i cosiddetti “Vespri Sardi”. Il motivo del malcontento popolare era dovuto anche al fatto che la Sardegna era stata coinvolta nella guerra della Francia rivoluzionaria contro gli stati europei e dunque contro il Piemonte. Nel 1793 una flotta francese tentò di impadronirsi dell’isola lungo due linee, l’una nel Cagliaritano e l’altra nei pressi dell’arcipelago della Maddalena, guidata dall’allora giovane ufficiale Napoleone Bonaparte. I Sardi opposero però resistenza con ogni mezzo, in difesa della loro terra e dei piemontesi e, riuscendo a sventare tale piano, cominciò a montare nell’opinione pubblica un sentimento di rivalsa nei confronti della Corona sabauda per la difesa del Regno.
La scintilla che fece esplodere la contestazione fu l’arresto ordinato dal viceré di due capi del cosiddetto “partito patriottico”, gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Il 28 aprile 1794 (data nota come “sa dì de s’acciappa”, ossia “il giorno della cattura”) la popolazione inferocita allontanò dalla città tutti i 514 funzionari continentali, compreso il viceré Balbiano. Nel mese di maggio di quello stesso anno furono imbarcati con la forza e cacciati via dall’isola. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Sassari e Alghero fecero altrettanto, coinvolgendo poi il resto dell’isola nell’entroterra ancora rurale. La Sardegna diventò, così, il primo paese europeo a promuovere una propria rivoluzione seguendo l’esempio francese. I moti antifeudali furono successivamente guidati per altri due anni da Giovanni Maria Angioy, alto magistrato del Regno di Sardegna, ma furono repressi col sangue dalle forze lealiste, ingrossatesi in seguito alla stipulazione del trattato di pace sottoscritto da Napoleone e Vittorio Amedeo III.
Il moto rivoluzionario sardo terminò così, e l’isola rimase sotto la giurisdizione sabauda. L’Onnis scrisse: “La Sardegna usciva dalla sua stagione rivoluzionaria debole e privata della sua parte più attiva, dinamica e culturalmente aperta della sua classe dirigente. La sua condizione si ridusse a quella di possedimento oltremarino, in mano a una dinastia sabauda che non aveva certo maturato alcuna buona ragione per amarla più di quanto l’avesse mai amata in passato”. Dopo la fase sabauda l’isola subì il governo di un nuovo viceré cui seguì un periodo di restaurazione aristocratica e monarchica, culminato nella Fusione perfetta del 1847, che non riuscì a spegnere altri spontanei focolai di ribellione tra il 1802 e il 1821, fra cui la cosiddetta “congiura di Palabanda” cagliaritana del 1812 e la rivolta algherese del 1821.
Sempre l’Onnis scrisse:” La Sardegna usciva malconcia dalla sua rivoluzione. Decapitata e dispersa la classe dirigente che aveva guidato il tentativo di cambiamento, sul campo rimanevano le strutture istituzionali del Regno e una classe dominante votata alla fedeltà interessata al regime sabaudo”. Quando i Piemontesi ritornarono in Sardegna, infatti, tutto ricominciò più o meno come prima. Nonostante tutto, l’animo fiero del popolo sardo ha creato, per ricordare la forza e il coraggio di coloro che si sono opposti al dominio straniero, “Procurade ‘e moderare”. E’ una canzone che rappresenta benissimo la Sardegna e il carattere del suo popolo, gentile e mansueto, ma non incline a essere sopraffatto. Sembra una piccola Marsigliese. Con l’inno francese condivide un anelito alla ribellione, ma lo fa in maniera più pacata. “Procurad’e moderare barones, sa tirannia chi si no, pro vida mia, torrades a pés in terra”. Le prime due parole sono un invito gentile all’oppressore: “Badate bene di cercare di moderare la vostra tirannia, altrimenti, a costo della mia vita, tornerete nella polvere”, suonerebbe più o meno così in italiano. Come dire, comportatevi bene o ci ribelleremo.
Virginia Mariane
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