ROMA – Sarà l’omaggio più grande e coraggioso a Dante Alighieri, quello che stanno mettendo in opera le Scuderie del Quirinale in Roma: il trasporto della Porta dell’Inferno (l’imponente modello in gesso), di Auguste Rodin, il maggior scultore della Francia moderna. Dal 15 ottobre prossimo, fino al 9 gennaio 2022, negli spazi delle Scuderie in Roma, la Porta in gesso (in bronzo lo scultore non la fuse mai interamente) sarà montata su impalcature ad hoc: la mostra avrà per titolo “Inferno” ed è curata da Jean Clair. Insieme si potranno ammirare circa 200 opere dal Medioevo all’oggi sull’iconografia dell’Inferno nell’arte – allora ne avranno già discettato Lina Bolzoni e Laura Pasquini – e sulla figurazione del Diavolo nella storia e nella letteratura – e ne avranno discusso pubblicamente Ezio Albrile e Giulio Ferroni, entrambi in Palazzo Barberini.
Non solo sorprendono l’aspetto monumentale dell’opera alta sette metri (Dante, al centro in alto, è rappresentato dal celebre “Pensatore” dell’artista) e l’immane lavoro di Rodin, che comunque la lasciò incompiuta: ma anche il valore simbolico, l’alto pensiero e la fortissima espressività del corpo umano, che permeano l’opera. La commissione all’artista ormai noto, di una Porta a soggetto libero per il Museo delle Arti Decorative di Parigi, ancora in fieri, venne dal ministro Turquet: Rodin scelse l’immensa e per lui fascinosa “Divina Commedia” di Dante, anzi la parte più tragica di essa, l’Inferno. I lavori preparatori iniziarono nel 1880: lo Stato concesse all’artista ampi spazi per il laboratorio.
Rodin avvertiva la suggestione del terrificante “Giudizio universale” di Michelangelo nella cappella Sistina, ma anche quella della serafica “Porta del Paradiso” del Ghiberti nel Battistero di Firenze: in un primo momento pensò di seguire le divisioni dantesche dell’Inferno in cerchi, gironi, bolge. Ben presto però, anche per influenza della modernità di Baudelaire e dei Simbolisti, la razionalità delle divisioni della cantica cedette il posto alla voragine di sofferenza, e al groviglio di esseri umani e membra che l’antistruttura dell’Inferno finì per comportare. E mentre Rodin isolava delle immagini scultoree, che finirono per vivere a sé stanti, come “Il bacio”, spariva dalla Porta anche il fondale, divenendo un denso magma che inghiottiva e vomitava le creature morte, che soffrivano come vive.
Rodin dava spesso ad esse la fisionomia delle sue amanti, come Eva che ebbe a modella l’italiana Adele (l’immagine fu poi scartata), o la Danaide che sconta la pena riempiendo una botte senza fondo, per cui posò la famosa Camille Clodel. I personaggi ammassati, avvinghiati, a testa in giù, spesso sporgono dal magma con le natiche – ricordo michelangiolesco – ad indicare la degradazione, così come i tre corpi virili al culmine della Porta – le Ombre – hanno le mani mozzate, per la protervia dei demoni.
Rodin morì nel 1917 senza aver compiuto la Porta (nel 1900, ne fece una fusione in bronzo, incompleta come era), ma dopo aver scolpito almeno 200 figure. Tra esse, Paolo e Francesca e il Conte Ugolino coi figli aggrappati addosso, entrambe inserite nella Porta. Così l’Uomo che cade dal troumeau sinistro, impensabile presentimento di colui che precipita a testa in giù, perpendicolarmente, dalle Torri Gemelle. La Porta infine immaginata da Dante è graniticamente collegata all’idea di Salvezza, ma la Porta di Rodin, pur non riproducendo specifiche torture come vediamo nelle opere d’arte medievali, è una cascata di sofferenze, un ammasso di corpi trascinati nell’abisso senza speranza, senza luce di vita né fisica né spirituale nella morte, se non l’imbestiamento nelle atrocità.
Paola Pariset
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