ROCCASCALEGNA (Chieti) – Forse perché a vederla da sotto ci si chiede come possa essersi retta così a lungo su uno sperone di roccia o forse perché su di essa aleggiano tante leggende, fatto sta che Roccascalegna, un borgo abruzzese in provincia di Chieti (1143 abitanti), è meta di un flusso continuo di visitatori che hanno raggiunto il picco di 20mila in un solo giorno nella Pasquetta di qualche anno fa.
La rocca originaria, risalente a epoca longobarda su un insediamento preistorico, la cui vocazione al controllo militare del territorio spiega quella posizione scomodissima, era molto più piccola di quanto si possa vedere ora dopo i rimaneggiamenti di diverse epoche, che comprendono anche una chiesa rinascimentale ma con impianto precedente. Doveva, infatti, essere raggiunta attraverso una scala di legno issata al bisogno dal soldato o dai pochissimi soldati di guardia, tecnica da cui probabilmente prende il nome l’intero comune che nei secoli è nato ai suoi piedi. Questa è solo una delle ipotesi. Ma è lassù, tra quelle pietre arse dal sole, in quell’insediamento che campeggia sulla estesa valle attraversata dal fiume Sangro, ai piedi del monte Majella, che si è consumata tanta storia dopo il crollo dell’Impero romano, quando la penisola nel 600 d.C. è stata attraversata e occupata dai longobardi che qui difendevano i confini dai vicini bizantini, unici a contendere loro il governo sull’Italia. E’ sempre lassù, su quello sperone di roccia, che il Medioevo con i suoi mille anni è trascorso vedendosi alternare governi religiosi e politici ma anche vicende umane, con tutto il carico di fatica, di sofferenza, di paura, che quelle pietre tra muri, scale, pertugi, passaggi, raccontano silenziosamente.
Arrivare ai ruderi della rocca, che servì solo da avamposto militare fino a dopo il Rinascimento quando fu possedimento di alcune famiglie nobiliari e del clero, significa percorrere gli stessi gradini costruiti in età longobarda e calpestati da soldati e muli per il trasporto di armi e bagagli, di viveri. Il tempo li ha usurati e resi impervi ma è già da questa scala che si assapora il fascino del luogo e si odono le voci concitate di soldati impegnati nel tenere lontane le incursioni di eserciti nemici, il suono metallico delle armi e del lanciafiamme, il calpestio dei passi nel silenzio assordante di quel deserto ai piedi della montagna. Un contesto in cui, oggi, solo poche case sparse deturpano il paesaggio rimasto incontaminato da quei tempi remoti grazie alla protezione del vicino Parco della Majella, montagna madre dell’Abruzzo, la più impervia e rappresentativa della natura selvaggia della regione.
Le storie che si raccontano sono tante ma quella che affascina e attrae tanti visitatori in questa minuscola località abruzzese è quella, cruenta, legata alla morte del barone Corvo de’ Corvis nel 1646 del quale si dice sia rimasta un’impronta insanguinata su un muro crollato nel secolo scorso ma che molti raccontano di aver visto riemergere dall’intonaco anche dopo essere stata pulita più volte. La vendetta di un marito geloso contro Corvo sarebbe scaturita dalla reazione contro l’esercizio da parte di questo dello “jus primae noctis”, un diritto feudale di cui ormai è provata l’infondatezza ma che stuzzica lo stesso la fantasia se è spesso stato e continua ad essere l’incipit di romanzi storici come quello dello spagnolo Ildefonso Falcones (La cattedrale del mare, 2006), e che già Manzoni nell’800, nei Promessi sposi, adombrava come il retaggio feudale con cui don Rodrigo vantava pretese sulla povera Lucia.
E poi storie di streghe, di Inquisizione e torture, come testimoniano gli strumenti esposti nelle piccole stanze dell’antica costruzione, che nel tempo ha avuto anche la funzione di carcere e sede di processi. Ma la storia, qui, non è tutto. Il panorama, anche, spiega il continuo interesse dei visitatori per questo posto che sembra abbandonato da Dio e invece poi si capisce che proprio l’Eterno ci ha messo la mano trasformandolo in una meraviglia. L’aspetto e la collocazione geografica ne hanno fatto lo sfondo per serie televisive (“Il nome della Rosa”), e film (“Lo Cunto de li Cunti”). Tantissime coppie scelgono di sposarsi su questa testa di spillo infilata sulla roccia. Di solito la sposa vi accede con le scarpe da ginnastica ma non sempre avverte le invitate di fare altrettanto per superare la difficoltà di quelle scale dalla lunga storia sospesa tra il cielo e la terra.
In ogni caso Roccascalegna è un’esperienza che come tale non è sufficiente farsi raccontare: bisogna farla di persona.
Gloria Zarletti
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