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Ricordi sempre presenti nel nostro cuore

di | 2019-09-15T06:27:19+02:00 15-9-2019 6:31|Attualità, Sezione 8|0 Commenti

VITERBO – E’ forse vero il detto che più passano gli anni, più si invecchia, e più certi ricordi tendono a riaffiorare come se la vita fosse una catena circolare, che mette in moto pensieri che credevamo sopiti. Fa strano, dopo gli “anta”, riportare a galla le sensazioni di quand’eravamo piccoli, le ingenuità dell’infanzia, la spavalderia dei nostri sei anni. I ricordi sul primo giorno di scuola non si fanno mai confusi né si perdono nella nebbia del tempo passato.  A pensarci bene le sfide maggiori della vita  si compiono proprio nei nostri primi anni di essa ed Il primo giorno di scuola, non a caso, è una di queste. Non ritrovare i genitori a due passi da noi, pronti a incoraggiarci, costituisce un serio dramma personale per chi è al mondo da pochi anni. Certo, prima c’era la scuola materna, ma vogliamo mettere? Le cose sono diventate inevitabilmente, inderogabilmente, complicate.

Ripenso a quando, forte dei miei sei anni appena compiuti, varcai il cancello della scuola elementare, nessuna amicizia a confortarmi, solo espressioni sconosciute e smarrite come la mia. “Sei grande ormai“, sillabava la mia voce interiore… Passando davanti alla mia scuola alcuni giorni fa mi sono fermata un attimo a guardare l’edificio, le finestre della mia aula, e come nella pellicola di un film sono passate davanti ai miei occhi le immagini di me bambina il primo giorno di ottobre dell’ormai lontano 1965, in una tiepida mattina nel piazzale del Preziosissimo Sangue, la mia scuola.

Ricordo i miei genitori ed i miei nonni che mi avevano accompagnata con una leggera ansia che si confondeva con l’emozione per quello che era il mio primo giorno di scuola ed io, con il grembiulino blu e la cartella di pelle rossa sulle spalle ero abbastanza intimorita, e perché no anche incuriosita di vedere cosa mi attendeva oltre quell’uscio. Le classi erano già formate, ogni maestra faceva l’appello ed i ragazzi, ad uno ad uno, iniziavano ad entrare nell’edificio. La mia classe fu l’ultima perché eravamo i più piccoli: eravamo quelli che si affacciavano per la prima volta nel mondo della scuola. La mia maestra, una suora sulla cinquantina, aveva uno sguardo dolce: indossò gli occhiali  ed iniziò a leggere in un foglio i nomi di quelli che sarebbero stati i miei compagni di classe. Ecco, è arrivato il turno, si, ero stata chiamata, prima di andare verso la maestra mi voltai un attimo e vidi i volti dei miei parenti sorridenti e la mia mamma con una voce dolce e rassicurante mi diede una leggera spinta e mi disse “vai che ti hanno chiamato”.

Con le mie gambette tremolanti per l’emozione raggiunsi i miei compagni che erano stati già chiamati attendendo con il cuore che mi batteva forte che la maestra terminasse l’elenco, inconsapevole che quello a cui avevo appena risposto sarebbe stato il primo appello della mia vita. Ed ecco arrivato il momento: entriamo e raggiungiamo quella che sarebbe stata la nostra aula. Era tutto diverso dalle aule dall’asilo, perché non c’erano giochi ma solo banchetti  e sedioline ordinati a due a due ed una lavagna nera. Ricordo che la maestra ci disse di sederci nei banchi come volevamo, perché solo così avremmo potuto conoscerci meglio ed essere più liberi. Non vedevo l’ora di raccontare ai miei genitori tutte le novità e tutto ciò che ci aveva detto la maestra.

I ricordi sul primo giorno di scuola sono nitidi nella mia mente e nel mio cuore, con il passare degli anni non si sono confusi né si sono persi nella nebbia del tempo passato ma sono sempre lì: ricordo soprattutto l’affetto per quella maestra che mi ha accompagnata per tutto il ciclo delle elementari e che non dimenticherò mai, la  mia maestra  che in quelle cinque ore di scuola ci faceva da seconda mamma, che ci ha insegnato a leggere ed a scrivere, ci ha insegnato cos’era un metro cubo, costruendone uno con dei legni, la mia maestra che quando mi metteva bravissima in italiano per esprimere la sua felicità mi faceva l’occhiolino e prendendomi per mano mi diceva che lei puntava su di me, su quella bambina timida e silenziosa, sicura che qualsiasi cosa avessi fatto nella vita l’avrei  fatta nel migliore dei modi, la mia maestra che mi chiamava “occhi da cerbiatta” che mi coccolava quando non riuscivo a capire la matematica e con estrema dolcezza mi metteva accanto a lei e me la spiegava nuovamente, la maestra che ci raccontava della guerra che aveva vissuto da bambina in prima persona, che ci ha insegnato che anche le piante vanno rispettate perché sono esseri viventi che soffrono come noi, che quando eravamo in palestra non ci faceva fare degli stupidi esercizi ma dopo un piccolo riscaldamento ci faceva giocare e divertire. Quella maestra che io ho amato, amo e amerò per sempre e che ha fatto del tutto per far sì che il bilancio di quel primo giorno di scuola, del quale serbo un buon ricordo, fosse positivo.  

Le emozioni, i battiti accelerati del cuore, la nuova scuola, la nuova classe, i nuovi compagni, il nuovo diario offerto dalla scuola, i nuovi orari, i nuovi cambiamenti che mi facevano sentire più grande, ero contenta di andare. Con alcune compagne delle elementari ho mantenuto ancora i contatti tanto che spesso ci ritroviamo a cena insieme. Di tanto in tanto, mi tornano alla mente gli anni,  quando a piccoli passi iniziai ad entrare in una società in miniatura come la scuola, agli anni successivi, delle medie prima, e delle superiori poi, anni così lontani ma sempre vivi e vicinissimi, penso al lavoro svolto e quello che noto è che le dinamiche vissute non sono nemmeno troppo mutate, la semplicità con cui le esitazioni e le ansie di ogni fase della vita si sono infine polverizzate; quelle fragilità vissute e che sembravano enormi ed insormontabili appartenute ad un passato che è scivolato via come sabbia tra le dita lasciando la consapevolezza che ci sono scogli ben più ruvidi ad attenderci e che può capitare di avere piccole difficoltà a relazionarsi con gli altri. Ci potrà essere chi fa fatica a recitare una poesia, chi è più timido e ci mette più tempo a fare amicizia, chi si vergogna di esporre una lezione davanti alla classe, bloccandosi, chi verrà preso in giro per l’apparecchio ai denti e così via. Ciò che importa è cercare fin da piccoli di imparare a conoscersi e a essere consapevoli delle proprie capacità, delle proprie doti e, di conseguenza, sentirsi più sicuri di sé.

Adele Paglialunga

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