PERUGIA – Solo pochissimi fedeli si rendono conto, entrando nell’antica chiesa, di quindici secoli di età, che nella costruzione dell’edificio sacro sono stati “riciclati” urne etrusche – che pure sono a vista nella parete di levante – e addirittura coperchi di sarcofagi, con tanto di rilievi e il nome del defunto inciso, utilizzati quali architravi di una finestrella sul campanile. Un vero “riciclaggio” di reperti, ormai prescritto perché avvenuto intorno al IV secolo e nell’alto medioevo.
Le prime attestazioni documentali della presenza della chiesa (edificata secoli prima) si trovano in documenti perugini e vaticani del 1029, del 1173 (“Sancti Iohannis in Campo”, con tanto di sigla dell’imperatore Federico Barbarossa), del 1189, del 1208 (“Plebe de Campo”: non più in latino ormai, ma in volgare). Addirittura emergono, dalle pergamene, i nomi dei pievani dell’epoca: Guido, Buonaventura Angeli, Attone (sotto Bonifacio VIII), Nicolaus Odducci. Proprio nel Trecento si stacca la parrocchia di Ponte San Giovanni, intitolata a San Bartolomeo, segno che la frazione limitrofa cominciava ad espanderai, a crescere ed a rendersi autonoma. Risulta, la parrocchia di Pieve, la più ricca, all’epoca, per i versamenti annuali – a Natale ed a San Lorenzo, il patrono – al vescovo ed al capitolo della cattedrale, insieme a San Valentino della Collina e prima di San Martino in Colle e San Martino in Campo (consegnava un maiale grasso, grano, otto fasci di porri, quattro soldi lucchesi ed altro).
La chiesa ha subìto, nei secoli, ritocchi e migliorie, pure in epoca barocca e negli ultimi anni. Ma di altri restauri mostra necessità. “Perché – ha sottolineato il vescovo Giulietti durante un interessante convegno dedicato al tema – come le nostre case, anche quella del popolo di Dio, ogni tanto ha bisogno di adeguarsi ai tempi ed alle nuove esigenze”.
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