Nella requisitoria, riferendosi a Pinna, Piantoni non ha usato mezzi termini: “L’attendibilità di Pinna ha rappresentato il fulcro per la condanna al carcere a vita per Zuncheddu, ma lui non ha visto adeguatamente Beniamino e ha mentito per 30 anni”. Il Pg ha fatto poi riferimenti all’eventuale movente e all’alibi dell’imputato tornando anche all’attività di indagine svolta dopo il massacro. All’epoca gli inquirenti puntarono dal primo momento su dissidi tra gli allevatori della zona e in particolare tra la famiglia Fadda e quella degli Zuncheddu, originaria di Burcei, che gestivano un altro ovile. La polizia imboccò questa pista alla luce di alcuni episodi che si erano verificati prima della strage, in particolare l’uccisione di alcuni capi di bestiame e cani nonché le liti da ciò scaturite tra gli allevatori.
E’ andata relativamente meglio a due cittadini stranieri regolari (un bangladese di 35 anni e un cinese di 53) arrestati per sbaglio, in esecuzione di condanne definitive, e innocenti in cella al posto dei “veri” condannati: è successo a Milano, dove nel giro di 21 giorni ci sono stati ben due scambi di persona, dovuti a errori nei codici identificativi. Il bangladese, prima di tornare libero, è rimasto in cella ingiustamente per ben quattro mesi, mentre il cinese “soltanto” quattro giorni. Il 20 ottobre 2023 un 35enne del Bangladesh, con permesso di soggiorno e casa in affitto, viene arrestato mentre sta lavorando in un ristorante del centro di Milano. Deve scontare tre anni per rissa aggravata (con morto) nel 2020. Peccato che lui sia totalmente estraneo alla vicenda. Era stato un suo connazionale che, al momento dell’arresto, aveva dato le generalità dell’ignaro 35enne. Quindi il cosiddetto “Cui – Codice univoco identificativo”, ossia la stringa alfanumerica assegnata al fotosegnalamento e alle impronte digitali di uno straniero, è risultata a monte sbagliata. Ci sono voluti 4 mesi per arrivare alla verità. Liberato il 24 gennaio, intanto, il bangladese è rimasto senza lavoro.
Il 53enne cinese, regolare in Italia, è stato invece arrestato mentre era in procinto di partire da Malpensa per andare a trovare la famiglia. E’ il 5 gennaio, appena un mese fa. Gli dicono che deve scontare un anno e quattro mesi per ricettazione di telefonini contraffatti con una società di Milano nel 2013. In realtà si tratta di uno scambio di persona, che verrà poi scoperto da un agente di polizia penitenziaria del carcere di Busto Arsizio. Il permesso di soggiorno del 53enne cinese, infatti, risulta rilasciato nel 2016 dalla Questura di Alessandria, anziché (come il suo omonimo e vero condannato) nel 2009 da quella di Milano. Dopo quattro giorni, l’uomo torna libero.
La sintesi è presto fatta: gli errori giudiziari ci sono sempre stati e, purtroppo, sempre ci saranno. La giustizia spesso (non sempre) riesce a correggersi, come nel caso dei due extracomunitari arrestati e detenuti per errore a Milano, ma nella vicenda di Zuncheddu ciò non è avvenuto perché ci sono voluti 33 anni per arrivare a cancellare le tre sentenze che avevano costretto il pastore sardo al carcere a vita. Nella sua cella, Beniamino non solo ha continuato a proclamarsi innocente e non ha mai perso la fiducia che il suo calvario terminasse con una sacrosanta assoluzione, ma anziché abbandonarsi alla disperazione ha avuto un comportamento esemplare, lavorando nell’orto e nella falegnameria della casa circondariale e dando anche una mano agli altri reclusi. “Adesso che sono a casa mia sto bene”, dice Zuncheddu che svela di aver chiesto più volte un incontro con il suo accusatore senza però ottenere mai un confronto diretto: “L’ho visto in tribunale alla revisione del processo; anche lui è una povera vittima non una, ma due volte”, spiega l’ex allevatore sardo, oggi 60enne. Che poi aggiunge: “L’ho perdonato ugualmente”.
Buona domenica.
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