PALERMO – Nella congerie di pubblicazioni e convegni per commemorare il trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, il testo “Quel maledetto 1992” (Di Girolamo, Trapani, 2022) di Augusto Cavadi, palermitano come i magistrati assassinati, si distingue per il sofferto coinvolgimento personale dell’autore, per l’assenza di retorica, per l’analisi puntuale della situazione odierna e per la lucidità con cui vengono tratteggiati i percorsi per un’efficace lotta alla mafia. Pregi sottolineati nella prefazione di Franca Imbergamo, sostituta procuratrice a Roma della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e nella presentazione a più voci, coordinata dallo studioso Umberto Santino, tenutasi il 13 luglio a Palermo al No Mafia memorial.
Per onorare la memoria delle dieci vittime delle stragi – senza rischiare una loro involontaria collocazione sul piedistallo del “martirio” e legittimare così la nostra presa di distanza e il nostro disimpegno – il testo infatti delinea delle piste operative concrete. Per prima cosa, è necessario impegnarsi a conoscere il fenomeno mafioso. Al di là di banalizzazioni, semplificazioni e pericolosi luoghi comuni, la mafia è “un’associazione gerarchica i cui membri mirano al dominio e al denaro mediante un consenso sociale ottenuto con proposte di corruzione e, se necessario, con minacce violente”.
Come ha scritto Paolo Borsellino qualche giorno prima di essere ucciso: “Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l’imposizione di tangenti (…) e con l’accaparramento degli appalti pubblici (…). Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza, è risolto condizionando lo Stato dall’interno”. Allora – sottolinea Cavadi – bisogna aver il coraggio di affermare che la mafia è un sottosistema sociale, un pezzo della società che coniuga tradizione e innovazione. Per fronteggiarla davvero, va quindi indagata e compresa in quanto fenomeno complesso e mutevole, con una straordinaria capacità di adattamento ai cambiamenti sociali: nel testo si sottolinea, ad esempio, che non fanno un buon servizio educativo le opere di fiction che ne offrono un’immagine monocorde, affascinante e/o seduttiva o le riconoscono un potere assoluto.
Qual è lo stato della mafia oggi? Cavadi afferma che, a trent’anni di distanza dal “maledetto 1992”, alcune cose non sono affatto cambiate: la mafia continua a taglieggiare commercianti e imprenditori chiedendo il pizzo, continua a esercitare una sorta di potere giudiziario parallelo a quello delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, inquina il sistema democratico contrattando favori e interventi con politici a ogni livello. “Ma la situazione della mafia – puntualizza l’autore – è anche incomparabilmente diversa rispetto al 1992. Il gotha di Cosa Nostra di quegli anni micidiali è quasi tutto o sottochiave o sottoterra. La mafia militare e terrorista in ginocchio è, prioritariamente, l’effetto dell’impegno dei magistrati inquirenti (in stretta sinergia con le Forze dell’Ordine. L’impunità – da regola che era – si è fatta eccezione”. Purtroppo, però, “la mafia, oltre che soggetto militare, è anche un soggetto economico, politico e culturale. Dal punto di vista economico gli osservatori più attenti registrano, proprio in questi mesi di pandemia, un sussulto di attivismo. Se si guarda alla mafia siciliana nei suoi rapporti con le associazioni similari operanti in Italia e in altri Stati, la mafia è viva, è vegeta, scoppia di salute e fa affari alla grande”.
Che fare allora? Ecco i comportamenti essenziali per fronteggiare Cosa nostra:
a) Rovesciare la pedagogia mafiosa: “Se la mafia è violenza, dobbiamo imparare e insegnare la pace; se è ricerca del dominio e del denaro, dobbiamo vivere la sobrietà e l’essenzialità; se è subordinazione incondizionata… dobbiamo incarnare la civiltà dei diritti, il senso critico, la partecipazione democratica”;
b) Boicottare gli affari illeciti: anche se questo è compito precipuo delle Forze dell’ordine e dell’Autorità giudiziaria, è importante sostenere le Associazioni anti-racket, non frequentare sale da gioco equivoche o fare acquisti in attività notoriamente in mano a mafiosi o loro complici;
c) Disporsi a pagare il prezzo necessario: ecco cosa ha scritto nel 2002 Manfredi Borsellino, figlio del magistrato ucciso e Dirigente della Polizia di Stato: “Seguire l’opera e l’esempio di nostro padre per noi significa essenzialmente vivere nel rispetto assoluto delle leggi morali, credere e ispirarsi ai valori dell’onestà, della trasparenza, del rispetto delle Istituzioni, sacrificando, se del caso, amicizie e legami di ogni genere con persone che non si ispirino ai medesimi principi”;
d) Riscoprirsi animali politici: “la diffidenza verso la dimensione politica dell’esistenza, l’astensione dalla partecipazione consapevole e attiva – scrive l’autore – sono il regalo più prezioso che si possa riservare alle mafie”. “Insomma: la mafia si denunzia nelle piazze, si combatte nei tribunali e nelle scuole, ma si vince solo nelle urne elettorali. Ammesso che si trovino un progetto complessivo di società e dei candidati dignitosi per cui votare”; nell’ultima parte del libretto, viene dimostrato in modo esemplare come il dominio mafioso impedisca l’effettivo esercizio di tanti diritti sociali, economici e politici costituzionali;
e) Inventare strategie di opposizione nonviolenta: che contro i mafiosi vadano utilizzati gli strumenti repressivi previsti dal nostro ordinamento è fuori discussione. Ma Cavadi sottolinea la necessità di una strategia di lungo periodo, che contempli la “comprensione” umana del mafioso e la fronteggi attraverso un’etica della mitezza, incarnata solo da uomini interiormente forti.
A questo proposito, l’autore traccia un profilo meno noto di Falcone e Borsellino, raccontando episodi che ne evidenziano lo stile relazionale mite, rispettoso e l’immensa statura morale. Nel contesto dell’approccio nonviolento, ben evidenziato da una scheda del sociologo Enzo Sanfilippo, ecco, infine, le parole toccanti di Paolo Borsellino tramandate dalla sorella Rita: “Paolo diceva: non esistono bambini cattivi, ma se vivi in un contesto in cui l’unico linguaggio che hai, anche per poter sopravvivere è il linguaggio della violenza e della sopraffazione, quello conosci e quello metti in pratica. Se qualcuno ti dà un altro linguaggio ti puoi salvare. In quell’inizio ci siamo noi, il prete, il maestro, la società. Paolo diceva che prima di tutto bisogna cercare l’uomo per capirlo e addirittura riuscire ad amarlo. Se lo farai, alla fine proverai pena per lui e rimorso per quanto noi come società civile non siamo riusciti a fare”.
Maria D’Asaro
Grazie, Maria, della recensione così fedele e così generosa.