Una mescolanza non casuale di elementi sacri e profani, per un evento che dura da secoli. Si tratta della cosiddetta Quaremma, antichissima tradizione pasquale che caratterizza l’intero Salento, in particolare nella zona meridionale del territorio leccese (come nei comuni di Alliste e di Gallipoli), ma con sconfinamenti anche nel Tarantino (Grottaglie, ad esempio).
La Quaremma è un pupazzo caratteristico del costume popolare, la cui esposizione segna la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima; viene esposta sui terrazzi, sui davanzali e sui balconi delle case. Il suo nome è probabilmente di derivazione francese e sembra derivare dalla presenza nel Salento di soldati transalpini nel XIV secolo (Quaremma, dunque, deriverebbe dal termine Careme, poi tradotto in Quaresima). Il fantoccio raffigura una signora anziana, simile alla Befana: una vecchia di brutto aspetto, magra e un po’ spaventosa, vestita di nero per mostrare il lutto (a causa della fine del Carnevale).
Nella mano destra sono presenti un filo di lana e un fuso, simbolo di laboriosità e del desiderio di lavorare, ma soprattutto del passare del tempo; la mano sinistra regge, invece, una marangia, cioè un’arancia amara (talvolta una melograna o una patata), al cui interno sono inserite sette penne di gallina (il numero corrisponde alle domeniche che mancano alla Pasqua). Anche l’arancia amara ha un simbolismo: il suo sapore aspro indica la sofferenza, la penitenza e il sacrificio che dovrebbero contraddistinguere il periodo della Quaresima. Ogni penna di gallina, invece, equivale a una settimana di astinenza: infatti, ogni sette giorni ne viene tolta una, fino all’arrivo della Pasqua.
Quando la Quaresima finisce, il filo da tessere ormai si è esaurito, le penne sono terminate e l’arancia amara è diventata secca: a questo punto la Quaremma, dopo essere stata spostata dal balcone o dal davanzale, viene esposta su un palo, appesa a un filo. Nel momento in cui le campane cominciano a suonare per dare l’annuncio della Resurrezione, il fantoccio viene bruciato tra scoppi di petardi ed esplosioni di mortaretti: è l’ora della festa perché il fuoco segna l’inizio della salvezza e della purificazione.
La Quaresima, nei secoli scorsi, era considerata un periodo di sacrificio, anche alimentare, durante il quale si evitava di mangiare formaggi, uova e carne, ma non nel corso della Settimana Santa che precede la domenica di Pasqua. In quei giorni, in particolare, ci si dedicava alla preparazione di alcuni dolci, tra i quali spiccava in particolare la cosiddetta coddura, una specie di torta di forma rotonda che contiene al proprio interno uova sode ancora nel guscio e che viene regalata dalle ragazze ai propri fidanzati proprio il giorno di Pasqua.
La Quaremma è parte integrante della cultura del Salento. In passato, veniva esposta il mercoledì delle Ceneri, a segnalare la conclusione delle feste del Carnevale: osservando il pupazzo, tutti dovevano ricordare la necessità del sacrificio tipica della Quaresima. Emblematici a riguardo sono il suo aspetto spaventoso (talvolta si usa dire “Pare na quaremma” per indicare una donna brutta e antipatica), e la lana da filare, derivazione del mito pagano delle tre Parche, con Cloto che filava la vita degli uomini. Inoltre, l’immagine di una donna non curata, quasi truce, aveva anche lo scopo di esorcizzare il terrore delle carestie e della morte.
Tradizioni antiche, ma ancora molto sentite. Perché tenere vivo il ricordo del passato aiuta a non dimenticare le nostre radici e a renderle più forti e solide.
Buona domenica.
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