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Quando l’odore di resina impregnava la casa per giorni

di | 2019-12-22T10:15:13+01:00 22-12-2019 10:14|Attualità, Sezione 5|0 Commenti

VITERBO – Il Natale si avvicina e lo spirito natalizio si può vedere  dalla miriade di luci scintillanti che illuminano le strade e  le piazze, dalle famiglie che si riuniscono e dalla folla che passeggia tra i negozi del centro, in cerca degli ultimi regali ancora da fare. Tutto è caotico. Si sente tangibile il profumo delle feste e l’aria frizzantina rende tutto magico e pieno di energia. È un periodo strano però, un’arma a doppio taglio, in cui i pensieri volano al passato e ai ricordi di un tempo dove erano ancora presenti tutte le persone che abbiamo amato e la cui mancanza pesa come un macigno.

In un momento di relax, seduta sul divano in compagnia del mio amico peloso, la mia mente inizia a girovagare perdendosi in lontani ricordi, che mi riempiono di nostalgia. E’ un lungo viaggio quello che compie la mia memoria, un viaggio che faccio senza valigie e questo perché non sono io che parto ma è il bagaglio dei miei ricordi che viene da me e  non mi abbandona mai. Proprio attraverso i ricordi vivo e rimpiango il bel tempo che fu, rivivo tante cose belle dei Natali passati quando ero bambina. Che gioia avevo nel cuore quando pensavo che stava per arrivare questa festa. Tutto iniziava a scuola: gli addobbi, le recite, i regalini per i genitori che preparavo con l’aiuto della maestra. A casa, il mio papà preparava magistralmente l’albero, un albero vero gigantesco che arrivava al soffitto ed emanava un magnifico profumo di resina, un vero odore di bosco. Quell’aroma tipico dell’abete vero aleggiava in casa per diverse settimane creando una bella atmosfera di festa: era il profumo del Natale ed aveva la capacità di infondere in me calore e magia.

Addobbavamo l’albero tutti insieme con  tante palline colorate  di vetro soffiato trasparente di varie forme sferiche, coniche, a campanella o a forma di pigna, uccellini con vere piume, angeli e sorridenti  babbi natale tutti realizzati in vetro soffiato generalmente ricoperti da una vernice colorata e riflettente, spruzzati d’argento e d’oro. Una caratteristica dell’albero di Natale erano le scintillanti luci colorate e intermittenti a forma di candela, di casette o di funghetti che venivano poste tutte attorno all’albero al fine di creare un gradevole effetto. L’addobbo del nostro albero veniva completato con luccicanti fili di color oro e argento posizionati in modo casuale che donavano all’abete una maggior luce e, per avere l’effetto della neve, mettevamo tanti fiocchetti d’ovatta. Quando tutti gli addobbi erano stati ormai sistemati, papà ornava la punta del nostro albero con il puntale, l’ultimo tocco per  creare un’atmosfera natalizia davvero perfetta. L’albero di Natale era terminato ed era meraviglioso, io mi sedevo in terra e restavo per ore incantata a guardare  l’intermittenza delle luci colorate e lo sfavillio delle decorazioni.

Un altro ricordo che, seppur sopito in qualche cassetto della memoria, riaffiora all’improvviso è la speciale “letterina“ rivolta ai miei  genitori ma non per chiedere doni bensì per manifestare loro tutto il mio affetto, una missiva piena di buoni propositi, di promesse: farò la brava, mi impegnerò a scuola, aiuterò di più la mamma; scritta in bella grafia, su una carta da lettera scelta con cura, sempre decorata e a volte piena di porporina. La tradizione voleva che la letterina, anziché finire in una buchetta postale con l’indirizzo ‘Polo Nord, via Polo Nord’, venisse furtivamente sistemata sotto il piatto di papà che quando la trovava, colto da stupore, la leggeva ad alta voce. Al termine della cena arrivava il momento della recita della poesia che mi vedeva protagonista. Mi esibivo su un piccolo palco, una sedia, sulla quale venivo fatta salire per recitarla davanti ad un amorevole pubblico, quello dei miei familiari. Tutto ciò sembrava un gioco, che però facevo in maniera serissima cercando di dare sempre il massimo per fare bella figura anche perché dietro c’era tutto un lavoro di memoria.  

Per  le festività natalizie a casa mia  eravamo sempre tantissimi: nonni, zii, cugini;  per l’occasione veniva allestita la sala da pranzo con due tavoli, uno grande dove sedevano gli adulti ed uno più piccolino per noi bambini. Le donne di casa stabilivano il menu che preparavano tutte insieme. La sera della vigilia di Natale difficilmente mancava l’anguilla o il capitone ed il sempre presente baccalà. L’atmosfera era gioiosa, allegra, serena, e soprattutto giocosa, perché dopo la cena della vigilia si giocava tutti a carte e alla tombola: “Ma non vedi che la briscola è a spade? Che cavolo metti il carico?“, “Dai, facciamo un giro a sette e mezzo, che poi giochiamo a bestia“, “Caspita, sono le 5 del mattino e noi stiamo ancora giocando! Domani di questo passo arriveremo per il pranzo alle 3 del pomeriggio…”.

Il giorno di Natale la tavola era piena di ogni bontà: ravioli fatti in casa, arrosto con le patate, frutta secca, torroni, panettoni, datteri, dolci tradizionali di ogni genere fatti in casa; e non mancavano di certo i mitici mandarini le cui bucce venivano ridotte in piccoli pezzetti dalle mie manine veloci per segnare i numeri estratti della tombola. Un’altra cosa che ricordo con nostalgia erano le ciaramelle suonate dagli zampognari: “Sono venute  da monti oscuri le ciaramelle senza dir niente e hanno destato né suoi tuguri  tutta la buona povera gente….”. Non era Natale se nelle strade o nelle piazze non si diffondeva quel dolce e caratteristico suono così acuto e coinvolgente che annunciava l’arrivo degli zampognari che sembrano provenire direttamente dal presepe, pastori che in abiti tipici, suonavano motivi natalizi tradizionali che avevano un valore sacro e ben augurate. L’atmosfera che si respirava per le strade, profumate di caldarroste, veniva riscaldata da queste musiche che parlavano della venuta del Signore.

Quanti ricordi ormai lontani invadono la mia mente! Spingo il tasto rewind e mi vedo affacciata alla finestra di casa mentre tiro in strada una moneta da cento lire che gli zampognari raccolgono e poi, guardando verso l’alto fanno un cenno con la mano in segno di saluto e ringraziamento…. Ripensandoci, ancora oggi mi sale una forte emozione; mi sembra di sentire il suono delle zampogne che si mischia con il profumo di arrosto che c’è nell’aria per le strade; chiaro segno di una giornata importante.

Il mio Natale, come quello di tutti i bambini del mio periodo, era semplice e sentito, si assaporavano tutte le gioie che questa Festività  ci poteva dare senza chiedere nulla in cambio se non la gioia pura dello stare insieme, quando il benessere c’era ma assumeva un aspetto semplice, unico, e profumato di pino fresco. giorni di festa, magnificamente semplici e carichi di emozioni uniche.  Se chiudo gli occhi mi sembra di sentire i gusti e gli odori di quei tempi e prendono magicamente forma le persone che ho amato. Ancora adesso per rivivere quelle emozioni, mi basta poco: il profumo di un mandarino, l’aroma della scorza d’arancia e qualche vecchia e nostalgica canzone natalizia. Questo è il Natale che mi manca tanto. Cosa rimane oggi di tutto ciò? Un dolce ricordo e un amaro rimpianto dei momenti che avrei dovuto vivere più intensamente per non dimenticare tutte le emozioni, momenti indimenticabili di una bambina che aveva fretta di crescere e che ha vissuto con le persone più important: i propri genitori che le hanno regalato tanti Natali fantastici…. Giorni che non potrà dimenticare mai.

Adele Paglialunga

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