MILANO – Narra Fedro, nel primo secolo d.C. nella favola “Le rane ed il Sole”, che il Sole avesse deciso di sposarsi, ma le rane andarono a protestare da Giove perché ritenevano che il calore del Sole già prosciugasse i loro stagni e che l’arrivo di figli avrebbe reso la loro vita ancora più grama; Giove decise allora che le nozze non sarebbero state celebrate. Il prospettato matrimonio del Sole, in greco Hèlios, il cui suono rimandava al nome del prefetto del pretorio Aelius Seianus, aveva suscitato il panico delle rane, simbolo esopico della gente comune; pertanto se già un unico Sole inaridiva la terra, come Elio Seiano tormentava il popolo, chissà che cosa sarebbe potuto mai succedere con l’arrivo di altri soli. Il prefetto del pretorio Elio Seiano in questa allusione vide una terribile minaccia al suo potere e, ironia della sorte, anche le sue imminenti nozze con la nuora di Tiberio naufragarono miseramente. Il perfido prefetto del pretorio avrebbe, quindi citato, in giudizio Fedro con un’accusa pretestuosa, assumendo allo stesso tempo le funzioni, normalmente distinte, di accusatore, testimone e giudice.
Il favolista scontò a lungo il discredito della condanna subita, perché rimase isolato e le sue opere non vennero più lette nei circoli letterari, furono poi riprese solo nel Medio-Evo. Gli storici ritengono che possa essersi trattato di un verdetto di parziale censura, di confisca o di divieto di pubblicazione di parte delle sue favole, considerate gravemente allusive e ideologicamente pericolose. Gli animali antropomorfizzati rappresentano, da sempre, nel genere favolistico i vizi e le virtù degli uomini; scrive Lévi-Strauss che gli animali servono in questo caso “non solo per mangiare, ma anche per pensare”. Certo Fedro non era un rivoluzionario, ma i suoi frequenti e pessimistici commenti sulla “legge del più forte” che opprime i deboli (si pensi al famelico lupo che, senza alcuna giustificazione, divora il debole ed innocente agnello), potevano rappresentare il punto di vista delle classi subalterne e degli emarginati. Fedro era un liberto e come tale si limitava ad attaccare dei tipi umani e non poteva permettersi, per l’umiltà della sua estrazione sociale, di condannare direttamente il potere.
Stessa ostentazione di forza che spinge qualsivoglia potere assoluto ed antidemocratico, ancora oggi, a mettere a tacere ogni voce dissidente. Valga per tutti un solo nome del giornalismo impegnato: Anna Politkovskaja. Era nata il 30 agosto del 1958 a New York, figlia di due diplomatici sovietici di nazionalità ucraina di stanza presso l’ONU. Brillante la sua carriera giornalistica per molte testate russe, l’ultima fino alla fine dei suoi giorni, la Novaya Gazeta.
“Mi dicono spesso che sono pessimista, che non credo nella forza della gente, che ce l’ho con Putin e non vedo altro. Vedo tutto, io. È questo, il mio problema. Vedo le cose belle e vedo le brutte. Vedo che le persone vogliono cambiare la propria vita per il meglio ma che non sono in grado di farlo, e che per darsi un contegno continuano a mentire a se stesse per prime, concentrandosi sulle cose positive e facendo finta che le negative non esistano”.
Altrettanto brillanti, quanto drammatici, i suoi rapporti ed opere sui conflitti in Cecenia. Fu assassinata il 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo, mentre stava rincasando; proprio nel giorno del compleanno di Putin. Il 5 settembre scorso un tribunale moscovita ha revocato la licenza di pubblicazione in cartaceo al quotidiano Novaja Gazeta, su richiesta dell’organismo di controllo russo sui media, nel quadro delle misure di inasprimento censorio dei media dopo l’invasione dell’Ucraina. L’ex direttore Dmitri Muratov, premio Nobel per la Pace 2021, che ha tentato invano la via del dialogo con il Cremlino, ha annunciato che farà ricorso contro la revoca della licenza. Nello stesso giorno è stata comminata la condanna a ventidue anni di colonia penale di massima sicurezza per aver diffuso notizie segrete a Ivan Safronov, 32 anni, ex giornalista di Kommersant e Vedomosti.
Gli avvocati di Safronov sostengono che la sentenza è del tutto politica, serve solo “per dare un esempio” e che il giovane giornalista paga perché aveva rivelato l’intenzione del governo russo di vendere caccia Sukhoi-35 all’Egitto, notizia già nota e diffusa in vari link. Entrambi i provvedimenti sono da definirsi unicamente come bieca ostentazione di un potere arbitrario e prevaricatorio.
In uno dei suoi ultimi libri “La Russia di Putin” la Politkovskaja ha scritto: “Siamo solo un mezzo, per lui (Putin). Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Cremlino”.
Fedro, analogamente, nella morale finale de “Il lupo e l’agnello”, concluse: “Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti”.
Adele Reale
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