Il conclave che sfociò nell’elezione dell’eremita Pietro da Morrone (un monte nelle vicinanze di Sulmona), già in fama di santità e comunque di una vita esemplarmente cristiana, anzi evangelica, si svolse a Perugia dal 4 aprile del 1292 (quando morì papa Nicolò IV, al secolo Girolamo Masci, primo pontefice arrivato dalle fila dei francescani) fino al 5 luglio del 1294. Più di due anni di discussioni, di votazioni sempre vane. I cardinali non si mettevano d’accordo e alla fine, anche su pressione del forte partito filo-francese, si decise di uscire da questa strada senza sbocchi, puntando sul nome dell’eremita abruzzese in odore di santità. Una delegazione (tre vescovi e due notai apostolici) da Perugia andò a raccogliere il suo formale “lo voglio”, cioè l’accettazione ufficiale del soglio papale, a L’Aquila. L’incoronazione e la proclamazione si sarebbero dovute tenere, secondo prassi ed usanze consolidate, proprio nel duomo di Perugia. Ma per tutta una serie di motivi, tra cui la volontà dell’eletto che non intendeva spostarsi dalla sua terra, la solenne cerimonia (il 29 agosto del 1294) si svolse a L’Aquila. Subito dopo il pontefice fu trasferito a Napoli, sotto la sfera di influenza di Carlo II d’Angiò. Gli osservatori, all’epoca, intuirono subito che Celestino, per la sua stessa “forma mentis”, così lontana dalle mene curiali, non sarebbe stato in grado di governare la Chiesa. Jacopone da Todi, francescano senza peli sulla lingua, compose una lauda che iniziava “Que farai Pier da Morrone? Ei venuto al paragone” e pur riconoscendo all’eremita doti di dignità e di santità, si domandava: “Se si auro, ferro o rame, provàrite en esto esame”.
Era facile, insomma, prevedere le pressioni su quest’uomo lontano le mille miglia dai giochi di potere e immerso, o meglio soffocato, in una realtà, in cui i cardinali brigavano più per aumentare la potenza e le ricchezze del proprio casato che provvedere agli interessi delle anime. Quando Celestino V, nella sua santa semplicità e ingenuità, si rese conto di non essere in grado di resistere alle richieste che gli piovevano addosso da ogni parte (quelle dei suoi stessi confratelli di un ramo dei benedettini, quelle dei cardinali, quelle di Carlo II che lo ospitava a Napoli e che lo costrinse a nominare diversi cardinali di origine francese), decise le clamorose dimissioni. Episodio rarissimo nella storia della Chiesa. Era il 13 dicembre 1294. L’eremita aveva regnato poco più di cento giorni. Tra coloro che lo “consigliarono”, o meglio pressarono, a lasciare il soglio, il cardinale Benedetto Caetani, che gli succedette col nome di Bonifacio VIII. Proprio quest’ultimo inviò in una zona protetta l’ex papa (quello che “per viltade fece il gran rifiuto”, come ricorda Dante) e dopo un tentativo di fuga del vecchio eremita, lo internò nel Castello di Fumone, nel frusinate, dove pochi mesi più tardi, il malandato ex pontefice, che aveva 85 anni, si spense (molto probabilmente neppure per morte naturale).
Si tornò a Perugia dopo la fine misteriosa, un vero giallo storico, di Benedetto XI (Nicolò Boccassini, trevigiano) che, nel capoluogo umbro spirò per aver mangiato fichi avvelenati con la famigerata “acquetta perugina”, il 7 luglio 1304. Un mese prima il pontefice aveva scomunicato Guglielmo di Nogaret, ministro maneggione di Filippo IV e tutti coloro che avevano partecipato al sequestro di papa Bonifacio (episodio noto come “lo schiaffo di Anagni”). Anche per eleggere il nuovo papa il conclave perugino fu lungo: undici mesi. Poi il 12 giugno 1305 la scelta cadde su Bertrand de Got, francese della Guascogna, che scelse il nome di Clemente V. Papa ricordato dagli appassionati di storia per aver trasferito la Santa Sede in Francia (a Carprentras, nel contado Venassino, feudo papale non soggetto all’autorità di Filippo il Bello; fu poi il suo successore a spostare la corte pontificia ad Avignone) e per aver aver firmato la bolla che pose fine all’Ordine dei Templari.
Il primo papa eletto a Perugia risale al 1216, Onorio III, Cencio Savelli rampollo della potente famiglia aristocratica romana. Quello che lo innalzò al soglio di Pietro fu il primo conclave “sotto chiave”, letteralmente e si svolse nella cattedrale di San Lorenzo. Il predecessore – il grande Innocenzo III (Lotario dei conti di Segni) – era spirato il 18 luglio in vescovado. La “vacatio” fu brevissima: due giorni più tardi i cardinali votarono il Savelli a capo della Chiesa. I perugini per sollecitare i cardinali ad esprimere il loro voto il più in fretta possibile passarono i cibi e le bevande in maniera molto, molto spartana… messaggio chiarissimo per i principi della chiesa, che si sbrigarono più che poterono.
Quasi mezzo secolo più tardi alla morte di Urbano IV (il francese Jacques Troyes, figlio di un calzolaio e creato sacerdote per il suo talento musicale) spirato a Deruta (1264) e sepolto nella cattedrale perugina, i cardinali, sempre nel chiostro di San Lorenzo, puntarono su un altro francese: Guy Foucois, coraggioso combattente contro i Mori e ex marito (vedovo) e padre, che scelse il nome di Clemente IV e si dimostrò un buon papa, serio e scevro da nepotismi. Correva il 1265.
Una ingozzata di anguille portò alla morte, nel 1285, sempre a Perugia, Martino IV (Simon de Brion, francese, già cancelliere di Francia). I cardinali puntarono stavolta (1286) su un italiano: Giacomo Savelli, romano, nipote di Onorio III, che optò per la tradizione familiare, facendosi chiamare Onorio IV.
Elio Clero Bertoldi
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