TARANTO – L’incontro-scontro tra gli europei e gli abitanti del Nuovo Mondo a cavallo tra il XV e il XVI secolo è stato uno dei periodi che più ha cambiato il corso della Storia. Prima dell’arrivo dei conquistadores l’America era un continente estremamente vario: un tumulto di linguaggi, commercio e culture che regolavano la vita di decine di milioni di abitanti. Con il Trattato di Tordesillas del 1494, Papa Alessandro VI decise che le terre ad est del nuovo continente sarebbero andate ai portoghesi e quelle ad ovest agli spagnoli. Ma come e perché furono proprio gli spagnoli e i portoghesi a entrare in contatto con questi popoli?
Il principale candidato, in realtà, era la Cina, che all’epoca vantava una marina di 3500 vascelli, molti dei quali fino a cinque volte più grandi delle caravelle di Colombo. Nel XV secolo la Cina esercitava un’influenza senza precedenti sull’Oceano Indiano, dall’Indonesia al Corno d’Africa, ma le loro esplorazioni oceaniche furono però bloccate nel 1421 dal trasferimento della capitale da Nanchino a Pechino, situata mille chilometri più a nord. Anche i popoli polinesiani erano esperti navigatori: approdarono nei più remoti angoli terrestri sparsi nel Pacifico, dalla Nuova Zelanda, a Pitcairn, dalle Hawaii, fino a Rapa Nui (l’odierna Isola di Pasqua), eppure non si spinsero mai più oltre, per approdare sulla costa andina. Persino i vichinghi non oltrepassarono l’Anse aux Meadows, nell’odierno Labrador, venendo presto ricacciati in Europa dall’ostilità delle popolazioni indigene e dall’inospitalità dell’ecosistema canadese. Le cose andarono diversamente per gli spagnoli e soprattutto per i portoghesi.
Secondo il geologo Walter Alvarez e lo storico della scienza Henrique Leitão la spinta iniziale all’esplorazione navale europea fu impressa, già nella prima metà del Quattrocento, dai portoghesi. Fu grazie alle risorse finanziarie dell’ordine monastico sotto il controllo di Dom Henrique, noto come Enrico il Navigatore, quinto figlio del Re Giovanni I di Portogallo, che i portoghesi poterono esplorare la costa africana, toccando Capo Bojador nel 1434, Capo Verde nel 1444, l’Africa Occidentale nel 1471, il Capo di Buona Speranza nel 1488 e infine l’India nel 1498.
I marinai portoghesi svilupparono modi originali per viaggiare negli ostili ambienti dell’Atlantico, anche inventando nuovi strumenti di navigazione quali l’astrolabio nautico: furono loro a intuire la centralità della matematica nella navigazione ed i primi a spezzare con la tradizione medievale che si affidava all’autorità di Aristotele e Tolomeo, preferendovi l’esperienza empirica. Fu anche grazie a queste novità che gli spagnoli intrapresero le loro prime esplorazioni, con le spedizioni di Colombo. I portoghesi, però, rispetto agli spagnoli, godevano di un importante vantaggio, che rese possibile l’esplorazione di nuove terre decenni prima dei cugini iberici: la posizione geografica. Dando fronte all’Atlantico, il Portogallo era piuttosto isolato dal resto dell’Europa e, dunque, poco coinvolto nelle guerre che interessarono i regni francese, inglese e spagnolo. In più, grazie ai loro territori pianeggianti, i portoghesi riuscirono a cacciare gli arabi dalla penisola ben duecento anni prima degli spagnoli, che invece conclusero la reconquista solo nel 1492, per le difficoltà incontrate a causa delle montagne della Sierra Nevada.
Senza invasori né guerre continentali da affrontare, il Portogallo era dunque in una situazione ottimale per intraprendere nuovi sentieri, o meglio, navigare nuove acque. Alvarez e Leitão ci invitano a fare due riflessioni sul tema. La prima è che la geografia spesso dirige la storia: se i vichinghi fossero approdati in terre più ospitali, se i cinesi non avessero spostato la capitale, se i polinesiani non avessero dovuto confrontarsi con l’immensa vastità del Pacifico, oggi vivremmo in un mondo completamente diverso. La seconda è che la scienza moderna non sarebbe nata nel 1543 con la rivoluzione copernicana: sarebbero stati invece gli esploratori portoghesi del XV secolo, spinti dalla necessità di affrontare l’ignoto, ad aprire la strada a un nuovo modo di fare scienza, fondato sull’osservazione dei fenomeni naturali e sulla sperimentazione delle soluzioni più opportune per affrontarli. Quanto lontana è la scienza moderna dall’immoto assolutismo aristotelico!
Marco Schito
Nell’immagine di copertina, il confronto fra una giunca imperiale cinese del XV secolo e la Santa Maria di Colombo
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