TARANTO – Romae omnia venalia esse (“A Roma tutto è in vendita”), scriveva Sallustio nel “De Bello Iugurthino” (41-40 a.C.) stigmatizzando il fatto che la moralità del giovane Giugurta – giunto come alleato a Roma – potesse essere insidiata da quanti, facendo leva sulla sua ambizione, gli prospettavano la possibilità di impadronirsi con l’oro del trono di Numidia. Dietro questa affermazione non è difficile scorgere la condanna dello storico romano per la dilagante corruzione della nobiltà avida di danaro e potere.
Dopo oltre duemila anni il corso degli eventi non sembra esser molto migliorato e quelle parole descrivono in modo inequivocabile l’eterno malcostume di parte del mondo della politica e degli affari. È cronaca recente l’ennesima denuncia per una presunta truffa perpetrata dal gruppo apicale di un’industria energivora che avrebbe raggirato una norma della UE, danneggiando gravemente l’ambiente. La procura di Taranto ha mosso l’accusa di truffa in danno dello Stato nei confronti di Acciaierie d’Italia che, nel corso della gestione di Arcelor Mittal, avrebbe falsificato i dati delle emissioni di Co2, con la finalità di ottenere vantaggi nell’assegnazione delle quote di emissione gratuite e profitti dalla loro rivendita sul mercato.
I fatti si riferiscono al 2022 e 2023, quando Arcelor Mittal era alla guida degli impianti siderurgici, più in specifico Acciaierie d’Italia avrebbe comunicato un numero di quote ben inferiore rispetto a quelle emesse nel 2022; questo comportamento avrebbe garantito 6,5 milioni di tonnellate di quote gratuite per il 2023, tradotto in un guadagno di 517 milioni di euro. La Guardia di Finanza ha avviato perquisizioni per il sequestro di documenti non solo a Taranto, ma anche a Milano, Bari, Monza e Modena. Il sistema delle quote “European Union Emissions Trading Scheme (EU -ETS)” è stato introdotto a livello internazionale dal Protocollo di Kyoto nel 1997 ed è stato adottato dall’Unione Europea per tentare di ridurre le emissioni di gas a effetto serra negli ambiti industriali energivori.
Consiste nel fissare un tetto massimo al livello di emissioni consentite ai soggetti vincolati ma gli stessi, se sono in grado di produrne di meno, possono vendere le proprie quote tramite il sistema di scambio ad altre aziende che invece hanno inquinato più del dovuto. Ne deriva che emettere gas serra ha un costo e le società, di conseguenza, sono incentivate a ridurre le emissioni dal possibile guadagno. Bisogna aggiungere, inoltre, che l’Italia ha assegnato le quote gratuitamente, al fine di consentire una continuità della produzione nel Paese ed evitare le delocalizzazioni.
L’ultimo episodio dell’ex Ilva si inserisce così nella sua lunga storia di problemi ambientali e di inquinamento, oltre che in una situazione economica ed occupazionale complessa, a voler usare un eufemismo. Quello che lascia basiti, oltre alla truffa eventuale, è proprio il sistema delle quote, che sembra configurarsi come una vera e propria “vendita di permessi di inquinare”. Certo l’adozione di queste pratiche, ancor più se aggravate dai tentativi di raggirarle, sembra sempre più allontanare l’obiettivo della decarbonizzazione. L’aspetto che coinvolge eticamente è che tutto possa avere un prezzo: la vendita di quote di Co2 che fa il paio con la svendita di interi territori e della sua gente, destinati a divenire vittime sacrificali del ciclo di una produzione inarrestabile.
Ancor più, quindi, hanno un sapore amaro alcune sentenze della Corte europea che recitano (l’ultima del luglio 2024) che “le esigenze della produzione non possono prevalere sulla tutela della salute e dell’ambiente” e “se presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana”, l’esercizio dell’acciaieria ex Ilva di Taranto dovrà essere sospeso. La produzione nell’impianto siderurgico Ilva di Taranto – come già rilevava un rapporto dell’ONU del 2022 – “ha compromesso la salute dei cittadini e violato i diritti umani per decenni, provocando un grave inquinamento atmosferico”.
Lo stesso documento approvato dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu aveva inoltre individuato, tra i luoghi più degradati in Europa occidentale, proprio la zona dell’Ilva di Taranto dove le operazioni di pulizia e bonifica, che sarebbero dovute iniziare nel 2021, vengono continuamente rallentate con azioni dei diversi governi che permettono all’impianto di funzionare. Non consola, pertanto, che il Consiglio per i diritti umani (8 ottobre 2021) abbia adottato una risoluzione nella quale (per la prima volta), si riconosce a livello globale il diritto umano a vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile, men che mai se perfino i diritti (omnia venalia, appunto) sono in vendita.
Adele Reale
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