Se volete vivere tra persone felici, allora dovete trasferirvi: l’Italia non fa per voi. Bisogna andare verso il Nord Europa: Finlandia innanzitutto, poi Danimarca, Norvegia e Islanda. Ma vanno bene anche Olanda, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Australia. Ecco la classifica 2019 del World Happiness Report che valuta 156 Paesi in base alla percezione della felicità dei cittadini, registrata attraverso un’indagine curata dalla società di consulenza e statistica Gallup e con dati raccolti dal 2016 al 2018. E il Belpaese? Occupa la posizione numero 36, con un miglioramento di 11 posti rispetto all’anno precedente. In coda alla graduatoria i Paesi colpiti da guerre e da conflitti che durano da anni come Siria, Yemen, Ucraina e Sudan.
Lo studio (presentato all’Università Bocconi) è stato redatto, tra gli altri, dal professor Jeffrey Sachs, direttore del Sdsn (Sustainable Development Solutions Network) e del Center on Sustainable Development dell’Earth Institute, che ha illustrato alcuni aspetti dell’iniziativa, curata da Sdsn Italia in partnership con la Fondazione Ernesto Illy.
Gli italiani risalgono la classifica di undici posizioni e questo grazie a due indicatori, ha spiegato Francesco Billari, demografo della Bocconi: il primo è la speranza di aspettativa di vita in buone condizioni (settimi al mondo) e il secondo è il sostegno sociale ricevuto dai familiari e dagli amici (23esimi). “Quello che ci penalizza – sottolinea Billari – sono le emozioni negative come la rabbia e la preoccupazione”, che stanno crescendo e ci fanno scivolare al posto 123 nel mondo. Altri punti deboli dell’Italia sono un’elevata percezione della corruzione e la percezione dei cittadini di non essere liberi nel prendere decisioni. “In Italia – aggiunge il professor Sachs – il problema maggiore è la mancanza di prospettiva per i giovani, e inoltre manca anche fiducia nel governo e nelle istituzioni. La stessa che manca negli Stati Uniti, dove a causa anche di un aumento dei disturbi mentali, dell’obesità e di calo di fiducia tra le persone, la curva della felicità è in calo da anni”. E questo è un paradosso perché negli ultimi 70 anni gli Stati Uniti sono diventati sempre più ricchi, ma il benessere dei cittadini è sceso.
Tra gli indicatori considerati nel World Happiness Report c’è anche il Pil pro-capite, un indicatore economico di grande importante, ma non un indicatore di benessere perché sarebbe più corretto parlare di Fil, Felicità interna lorda, un parametro che in realtà non è stato mai misurato. La crisi del modello economico-sociale e la necessità di un modello di economia sostenibile costituiscono la spinta per un cambiamento positivo. “L’input – sottolinea con vigore Andrea Illy, presidente dell’omonima Fondazione – non può che venire dalle imprese private, che hanno una grandissima massa critica nel mondo. La finanza lo ha capito e si sta spostando verso investimenti cosiddetti responsabili. Ora tocca alle imprese, che da un’ottica di shareholder (cioè tutelare solo l’interesse dei loro azionisti), devono passare a un’ottica di stakeholder, cioè considerare tutti i portatori di interesse: dai dipendenti ai cittadini, dai fornitori alle comunità”.
Insomma, al di là delle interpretazioni scientifiche, economiche e sociologiche, c’è necessità di cambiare. Non Paese, ma mentalità perché gli italiani, nella stragrande maggioranza (a cominciare da chi scrive) non hanno alcuna voglia di andare a vivere in Nord Europa. Con tutto il rispetto.
Buona domenica.
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