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Ponzia e le morti provocate dal destino

di | 2023-04-14T18:37:55+02:00 16-4-2023 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

SPOLETO (Perugia) – L’incidente si verificò nel territorio di Macerino, ora frazione di Acquasparta, a lungo appartenente al Ducato di Spoleto, posto lungo una antica via collinare tracciata dagli Umbri, poi diverticolo della Flaminia romana, infine denominata nei secoli successivi “strada delle pecore”. La matrona Ponzia, poco più che ventenne e bellissima, stava affrontando un viaggio molto lungo, a bordo di un carro, diretta nella lontanissima Treviri, (Augusta Treverorum), oggi in Germania, allora centro di primaria importanza, essendo stata innalzata a sede della prefettura del pretorio delle Gallie e dove l’attendeva l’amato coniuge, ufficiale dell’esercito o comunque alto funzionario imperiale (Costantino II vi risiedette per dodici anni, fino al 340).

Ponzia si era messa in movimento con un seguito di domestici e schiavi, come avveniva per una donna di rango, nell’affrontare un percorso così lungo e pieno di disagi e forse con una scorta di soldati, considerata l’importanza sociale del coniuge, oltre a carriaggi con beni e generi alimentari. Il cocchio – l’epoca è, appunto, la prima metà del quarto secolo dopo Cristo, imperatore Costantino o uno dei suoi più immediati successori (Costantino II, Costante, Costanzo) vista la presenza del monogramma costantiniano sul sarcofago – per un qualche motivo, si rovesciò e la sfortunata aristocratica venne travolta e schiacciata sotto le ruote. Se altri, magari l’auriga, siano rimasti vittima del tragico incidente, nulla risulta.

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Resta memoria solo di Ponzia nello splendido sarcofago in marmo, ritrovato, quasi integro, nelle vicinanze della chiesetta dedicata a San Giovenale nel cimitero del paesino ed ora ospitato nel Museo di Spoleto. In questi giorni in cui l’assurdità del destino campeggia sulle prime pagine dei giornali – dal “runner” aggredito e straziato da un orso in Trentino alla diciassettenne travolta da un silo di venti tonnellate di grano precipitato sulla vettura con la quale la giovinetta si esercitava alla guida e nella quale ospitava anche i due fratellini a Bertinoro, nel forlivese; fino al trentacinquenne ma già affermato avvocato romano, in vacanza in Israele, investito volontariamente e ucciso sul lungomare di Tel Aviv da un palestinese – pure la triste, cruda, dolorosa vicenda di Ponzia dovette suscitare, al’epoca, altrettanto enorme cordoglio, sconcerto, attenzione nella società del tempo.

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Uno scalpellino, nel marmo sul fronte del sarcofago, in due tabelle ansate – quasi la pagina di un giornale moderno – ha inciso, sotto la dettatura del vedovo inconsolabile, l’agghiacciante, commovente storia della nobile, quanto sfortunatissima, matrona. Andata sposa ancora fanciulla (come del resto avveniva abbastanza spesso, se non sempre, soprattutto tra gli aristocratici), Ponzia non riuscì a toccare il traguardo del decimo anno di matrimonio. Il marito assicura che la moglie fosse ammirata per “il volto bellissimo” e onorata per il comportamento ineccepibile. Madre di un bimbo, viene definita “onesta e riconoscente nei confronti del coniuge”,“casta e pudica nei costum”, “senza difetti nel rapporto coniugale”, “ubbidiente verso lo sposo come una serva” (oggi può, una frase del genere, suonare come una stonatura, ma allora rappresentava un vero, grande complimento).

Un altro struggente particolare aggiunge il marito nel ricordo: che, cioè quando il padre di lei avrebbe voluto toglierla al genero, allo sposo, dunque, Ponzia, per protesta, innamorata e fedele quale si dimostrava, si era posta una corda al collo, tentando di impiccarsi. Tanto forte e profondo il sentimento che la legava al coniuge. “In nessun tempo avrai le lodi che meriti – riporta l’epitaffio – tuo marito piange e geme incessantemente. Proprio io ho scritto questi versi ricordando di te poche cose”.

Elio Clero Bertoldi

Nell’immagine di copertina, il sarcofago di Ponzia, conservato nel Museo della Rocca Albornoz a Spoleto

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