PERUGIA – Confesso: io mi sono divertito. Non ho perso una tappa del Giro d’Italia e Tadej Pogacar mi ha veramente emozionato. Rispetto il pensiero di chi ha scritto che si è assistito ad un giro “da sbadigli”, noioso e conformista, ma per me non è stato affatto così. Le tappe mi hanno fatto rivivere il ciclismo degli anni della mia fanciullezza prima con Bartali e Coppi e della gioventù poi con i Charly Gaul, gli Eddy Mercks (nato pochi mesi prima di me), i Francesco Moser e via via i Mario Cipollini, gigante delle volate, ed il mitico Pirata, Marco Pantani, che si “divorava” le salite, dopo essersi tolto di fronte la bandana.
Azzardare paragoni con il “Cannibale” Mercks – considerato il ciclista più forte della storia – non lo ritengo, al momento, possibile. Chi ha sostenuto che nella corsa rosa lo sloveno non abbia avuto avversari all’altezza, può accampare una qualche ragione, perché la manifesta superiorità di Tadej resterà fotografata dalle 6 vittorie di tappa (il 28,5%) e dalle classifiche giornaliere che lo hanno visto sempre nei primissimi posti, compresa l’ultima fatica nella quale ha addirittura interpretato il ruolo di “gregario” per aiutare un compagno di squadra, la UAE. Tutto questo, tuttavia, non sminuisce né svilisce l’impresa di Pagacar che ha palesato, anzi, di possedere qualità multiple di scalatore, di cronometrista, persino di velocista. Il modo con il quale ha primeggiato in montagna staccando gli avversari con pedalate possenti, irresistibili, lascia a bocca aperta. Ed altrettanto è riuscito a fare nella tappa di Perugia soffiando la vittoria ad un titano delle cronometro quale Filippo Ganna. Sorpresa? Certo che no: sono anni che Tadej si è preso la scena.
Non è il solo, certo, sul proscenio del ciclismo di oggi: a contendergli la primazia avanzano candidati di sicuro peso quali il danese Jonas Vingegaard, 27 anni; il belga Remco Evenepoel, 24 anni; l’altro belga Wout Van Aert, 29 anni e il suo connazionale Primoz Roglic, 34 anni. Il prossimo, imminente, Tour de France offre la possibilità, agli agguerriti competitori, di togliere la virtuale corona di re della bici, che molti attribuiscono allo sloveno. Che mostra anche un altro volto, non solamente quello di corridore vincente: un animo nobile. Due esempi: l’aver regalato, durante la fatica di una scalata, la borraccia ad un ragazzino-tifoso e l’aver donato, dopo essersela tolta, la maglia rosa al giovane Giulio Pellizzari, 20 anni, che aveva cercato invano di restargli a fianco per una manciata di metri in salita sul Monte Grappa. Gesti che rivelano l’animo di un bravo ragazzo. Un motivo in più per apprezzarlo. Come atleta e come persona.
Se la Slovenia – appena due milioni di abitanti – riesce a sfornare campioni quali Pogacar e Roglic (e nel basket, come Luka Doncic, nuova stella della NBA), l’Italia, nella due ruote, come sta messa? Benino. Giulio Pellizzari, marchigiano di Camerino, manifesta buone chance di scalatore ed Antonio Tiberi, laziale, 23 anni a fine giugno, maglia bianca al Giro e quinto in classifica (senza la rovinosa caduta di Oropa, avrebbe potuto persino entrare nel podio) ne vanta almeno altrettante, se non di più. E, poi, ecco Jonathan Milan, 23 anni, di Tolmezzo, dunque friulano, velocista con 3 vittorie e 3 secondi posti, ultimo dei quali conquistato nella volata di Roma, dove ha dovuto faticosamente rimontare negli ultimi nove chilometri per colpa di una foratura, che lo ha svantaggiato di brutto e gli ha impedito quell’imperioso scatto finale, sua caratteristica, nella convulsa volata in cui è riuscito a spuntarla Tim Merlier.
Elio Clero Bertoldi
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