PERUGIA – Da un rotolo di papiro carbonizzato e rimasto imprigionato per quasi due millenni sotto metri e metri di materiale piroclastico, gli studiosi hanno scoperto due rilevanti particolari sulla vita del filosofo Platone (al secolo Aristarco di Atene, 428 aC-348 aC), a sua volta discepolo di Socrate (470 aC-399 aC), ma anche maestro di Aristotele (384 aC-322 aC) e cioè che venne sepolto nel giardino della propria scuola, l’Accademia di Atene, accanto al Museion e che finì schiavo, non come si riteneva sino ad oggi nel 387 aC, mentre era ospite in Siracusa di Dioniso I, ma molto prima: nel 404 (quando gli spartani invasero e occuparono l’isola di Egina) o nel 399, poco dopo la condanna a morte di Socrate.
Le novità si palesano in un’aura che profuma di miracoloso: sono state, infatti, ricavate con l’utilizzo non solo dell’Intelligenza Artificiale ma, in aggiunta, pure con l’uso di tecnologie di ultimissima generazione quali la diagnostica per immagini, l’immagine ottica con infrarossi, l’immagine a raggi ultravioletti, l’’immagine molecolare e termica, la microscopia ottica digitale. Tutte tecniche non invasive con le quali è stato possibile strappare questi “segreti” dai dieci nuovi frammenti dei papiri scritti, in greco ed in minima parte in latino, dal filosofo Filodemo di Gàdara (110 aC-35 aC), autore di una “Rassegna dei filosofi”, in pratica la prima storia organica della Filosofia. Operazione di recupero e di lettura avvenuta nel quadro del “progetto Greekschools”, guidato dal professor Graziano Ranocchia dell’università di Pisa.
Merito, dunque, agli esperti ed al livello raggiunto dalla scienza. Però una parte, significativa se non primaria, la si deve riconoscere ad un console romano amante delle lettere e cultore della filosofia di Epicuro (341 aC-270 aC), appresa dall’amico ed ospite Filodemo di Gàdara (città oggi in Giordania), che si chiamava Lucio Calpurnio Pisone Cesonino (105/102 aC-43 aC), nato a Cadeo, in Emilia, figlio di un ricco mercante, il quale, a Roma, aveva scalato con merito le magistrature del “cursus honorum” (questore nel 70 aC, edile nel 64 aC, pretore nel 61 aC, console nel 58 e nel 57 aC, proconsole in Macedonia nel 56 e 55 aC ed infine censore nel 50 aC). Proprio all’inizio, o durante il consolato, Pisone si costruì ad Ercolano una villa grandiosa e fastosa con una facciata di 250 metri di lunghezza, per di più fronte mare e su tre piani, con una enorme piscina e con statue in marmo (29) ed in bronzo (58) tra le quali “I corridori”, “Pan e la capra”, il “Satiro dormiente”, l’“Hermes in riposo” ed una meridiana in bronzo ed argento. Non solo. Nel “tablinium” (lo studio) e nella biblioteca, il console appassionato della cultura, raccolse un numero impressionante di papiri (ne sono stati recuperati con gli scavi iniziati fin dal 1750, ben 1826). Prima il terremoto del 62 dC (al tempo di Nerone) danneggiò la villa e poi l’eruzione del 79 dC (imperatore Tito Flavio Vespasiano) la sotterrò.
La costruzione appariva, ricostruita negli schizzi, così splendida che il petroliere miliardario statunitense Jean Paul Getty (1892-1976) se ne fece edificare una copia (sulla scorta dei disegni settecenteschi di Karl Weber) a Malibù in California, dove abitò per un periodo e che ora ospita il museo delle antichità famoso e ricco di opere. Suocero di Gaio Giulio Cesare (101 aC -44 aC), Pisone infatti aveva concesso in moglie, nel 75 aC, la figlia sedicenne Calpurnia, rimasta al fianco del coniuge fino all’omicidio del generale (al quale, nel giorno fatale delle Idi di marzo, aveva cercato di impedire di portarsi in Senato, dove si consumò l’azione delittuosa, raccontandogli, invano, di aver fatto, la notte precedente, “brutti sogni”). Il padre della quarta consorte ufficiale di Cesare (prima di Calpurnia il dittatore aveva impalmato Cossuzia, Cornelia e Pompea) aveva subito un pesante attacco da Marco Tullio Cicerone (106 aC-43 aC) con l’invettiva “In Pisonem”, nella quale il famoso oratore e scrittore aveva criticato pesantemente l’ex console – prima amico – di vivere da crapulone e come un grezzo ricercatore del puro piacere (quale cultore dell’epicureismo).
A rendere così velenoso Cicerone, che si riconosceva nella corrente filosofica degli stoici, avversa al pensiero epicureo, la legge (“De capite civis romanis”) varata durante il consolato di Pisone, e retroattiva, con la quale venivano riconosciuti colpevoli coloro che avevano fatto eseguire condanne a morte, sia pur votate dal Senato, ma senza ricorrere alla prevista “Provocatio ad populum”, cioè l’appello ed il relativo consenso del popolo Romano. La norma, approvata, aveva costretto all’esilio Cicerone per cui al suo rientro a Roma, l’arpinate, aveva rivolto – sebbene senza appellarsi ad un tribunale – una bruciante invettiva piena di rimproveri e di biasimo nei confronti dell’ex collega (Pisone aveva diviso il ruolo consolare prima con Aulo Gabinio e, l’anno successivo, con Publio Cornelio Lentulo Sfintere).
L’uno e l’altro, grosso modo coetanei, morirono nel 43 aC uno per cause naturali (Pisone), l’altro a Formia per mano di un sicario (tale Erennio, inviato con altri sgherri da Marco Antonio e da sua moglie Fulvia, che non avevano gradito le orazioni contro di loro, le “Filippiche”, scagliate dagli scranni del Senato dal “padre della patria”, titolo attribuito all’arpinate per aver sventato la pericolosa congiura dei “populares” organizzata e diretta da Lucio Sergio Catilina).
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, la ricostruzione attraverso l’Intelligenza Artificiale della meravigliosa villa di Pisone a Ercolano
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