NAPOLI – “Noi andremo via e il tempo resterà…”, ma il tempo della musica di Pino Daniele è intramontabile. Sono passati quattro anni dalla scomparsa fisica del cantautore, ma per i napoletani (e non solo) Pino vive. Vivono le sue note di cui i vicoli sono intrisi. La città trasuda le sue melodie e la sua metrica. Pino, come pochi, ha saputo raccontare e trasportare in musica i mille colori di Napoli. Un ragazzo semplice che ha avuto da piccolo la fortuna di essere stato affidato a zie amorevoli che gli hanno regalato una chitarra.
Il suo primo album “Nero a metà” è un capolavoro ancora oggi. In quegli anni tanto aveva da esprimere, ha da subito dato voce a noi giovani di allora che non si riconoscevano nella musica tradizionale locale, sì famosa in tutto il mondo, ma anacronistica per noi figli di un ’68 già vissuto da cui attingevamo una moderna contestazione non nostra davvero. Eppure, da allora la musica di Pino diventa colonna sonora della nostra vita, fa parte della nostra identità finalmente espressa. Malcontento, voglia di una città di emergere, di uscire dagli stereotipi che ci andavano assai stretti e cavalcare l’onda della contemporaneità e dei mille influssi culturali che questa città già offriva. Non a caso Pino divenne così amico di Massimo Troisi che allo stesso modo nel cinema, portava avanti la stessa linea di riscatto di una città ferita da pregiudizi e tanta ignoranza. Le musiche di Pino diventano colonna naturale dei film di Massimo a cui è legato dallo stesso destino di andare via troppo presto per un cuore malato, lo stesso cuore che mettevano entrambi nelle loro passioni. “Tanto l’aria s’adda cagnà“ canta Pino perché nelle sue canzoni c’è sempre la speranza di un cambiamento possibile.
Chissà se esiste altro esempio di un artista così rappresentativo per una città. Al suo funerale, rigorosamente celebrato nella piazza dei suoi concerti, piazza Plebiscito, c’era una folla immensa immersa in un insolito silenzio assordante di un dolore sentito come per la perdita di un fratello, di una persona cara. Al suo arrivo in piazza echeggia la sua voce come una fitta: “voglio o mare“a significare la mancanza per lui più grande degli ultimi anni di vivere lontano dal suo mare. Per giorni e giorni dopo la sua morte il 4 gennaio del 2015 la sua musica era dappertutto, dai balconi a Napoli sempre aperti anche d’inverno, dai bar, dagli esercenti, in metropolitana ed ogni nota riportava ad un vissuto personale intriso di nostalgia. Non solo colonna sonora ma sottofondo naturale di ogni nostro ricordo e attraverso di noi trasportato ai nostri figli scarrozzati in auto con la musica di Pino a palla. Ancora oggi Pino è ovunque, è nell’aria, è “nei vicoli di ‘sta città”.
Un grande musicista sempre alla ricerca di nuove suggestioni dai madrigali cinquecenteschi fino ad esplorare il Mediterraneo dimostrando che la musica è e può essere il compendio di culture diverse unite in un solo linguaggio espressivo: quello dell’anima. Sempre portato ad esplorare, sperimentare, raccontare seguendo la sua istintiva libertà di espressione che lo ha portato ne “La Grande Madre”, uno dei suoi ultimi lavori, a mescolare i quattro elementi: mare, terra, aria e fuoco. Tra gli stili esplorati era affascinato dai madrigali del ‘500 dal canto gregoriano. Una musica senza confini culturali o geografici che da Napoli ha percorso l’intero globo trasportata da chi come lui amava il blues e sentiva la necessità di oltrepassare il poco tempo che gli restava, ma il suo tempo resterà per sempre. Perché “la musica è tutto quel che ho“ e che ci ha lasciato per sempre!
Al Museo della Pace il MAMT a Napoli un intero piano è dedicato a Pino Daniele. Si può vivere un percorso emozionale tra gli oggetti, chitarre, appunti, video, interviste, concerti e tanto altro della vita in musica di questo artista del cuore.
Angela Ristaldo
Nella foto di copertina, Pino Daniele durante un concerto
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