PALERMO – I cittadini italiani maschi con più di quarant’anni ricordano sicuramente la ‘cartolina precetto’, che arrivava ai maggiorenni inclusi nelle liste di leva. Appena ricevuta, bisognava presentarsi al distretto militare, sottoporsi alla visita medica e, se idonei, svolgere il servizio nell’Esercito, in Marina o nell’Aeronautica Militare. Sino al 1972, chi riceveva la ‘cartolina precetto’ e si rifiutava di prestare il servizio militare incorreva nel reato di renitenza alla leva: era considerato disertore, punito con la reclusione in carcere e privato anche di alcuni diritti civili.
Il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare per motivi morali, religiosi e filosofici venne introdotto in Italia dalla legge n.772 del 15 dicembre 1972, su proposta dal senatore democristiano Giovanni Marcora. La legge 772/1972 stabilì la possibilità di svolgere in alternativa al servizio militare il ‘servizio civile’, inizialmente più lungo di quello militare, poi equiparato al periodo di leva (12 mesi). La Corte Costituzionale, con sentenza n. 164 del 23 maggio 1985, incardinò nella giurisprudenza il diritto del cittadino a servire la patria anche espletando il servizio civile. Con la legge n.64 del 6 marzo 2001 verrà poi istituito il servizio civile nazionale.
Ma cosa accadeva a chi obiettava al servizio militare, prima del 1972?
Ecco la storia del primo obiettore di coscienza italiano: il ligure Pietro Pinna. Chiamato a svolgere il servizio di leva alla fine del 1948, Pinna, allora ventunenne e già diplomato, chiese di diventare allievo ufficiale. Come tante nel dopoguerra, la sua famiglia versava in condizioni economiche disagiate: Pietro sperava di sostenerla con la retribuzione da ufficiale. Influenzato però dal pensiero del filosofo nonviolento Aldo Capitini, si rese presto conto che la cultura militare era incompatibile con le sue convinzioni. Convocato in caserma a Lecce per l’avvio del corso, decise perciò di rifiutare il servizio militare.
Ecco quanto scrisse al Comando militare: “Faccio noto a codesto comando di essere venuto nella determinazione di disertare la vita militare per ragioni di coscienza. Trascurando qui di prendere in considerazione nei dettagli le convinzioni dettatemi da ragioni di fede, storiche, sociali e altro, dico che le mie obiezioni nascono essenzialmente dall’impegno totale assunto sin dalla fanciullezza ad una apertura ideale e pratica a tutte le creature umane. Modi capitali indispensabili di essa apertura: nonviolenza e non menzogna, mai limitabili e per nessun motivo. Logica e naturale è così la mia spontanea reazione, anzi impossibilità a collaborare con l’Istituzione militare, le cui evidenti manifestazioni prime sono in antitesi con tali mie più profonde ragioni di vita. Mi dichiaro pienamente consapevole del mio atto di rottura con la legge attuale e resto in attesa d’una pronta decisione al riguardo”.
Processato per disobbedienza, sulla base dell’art.173 del Codice militare di pace, fu condannato al carcere prima per dieci mesi, poi per altri otto. Al processo venne difeso dall’avvocato Bruno Segre, che diventerà uno dei più famosi difensori italiani nel campo dell’obiezione di coscienza. Venne infine riformato per “nevrosi cardiaca”. Grazie alla risonanza fornita da Capitini, l’obiezione di Pietro Pinna assunse rilievi internazionali: ricevette lettere di sostegno dalla vedova del presidente degli Stati Uniti Wilson e dalla figlia di Leone Tolstoj, Tatiana Tolstoj Suhotin; inoltre, ventitré parlamentari inglesi scrissero al Presidente del Consiglio De Gasperi per intercedere in suo favore.
Pietro Pinna divenne poi uno dei più stretti collaboratori di Aldo Capitini, con cui nel 1961 organizzò la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi e le tre successive. Continuò ad operare nel Movimento Nonviolento per tutta la vita, diventandone segretario nazionale dal 1968 al 1976; fu direttore della rivista Azione nonviolenta fino alla morte, il 13 aprile 2016. Nel 2008 era stato insignito del Premio Nazionale Nonviolenza, mentre nel 2012 la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa gli aveva conferito la laurea ‘honoris causa’ in Scienze per la Pace.
In varie circostanze, Pinna aveva continuato a pagare in prima persona per le sue scelte: in seguito all’affissione di uno scritto il 4 novembre, Festa delle Forze armate (“Non festa ma lutto”), il 17 gennaio 1973 venne arrestato a Perugia e condannato per vilipendio alle Forze armate; fu comunque liberato quattro settimane dopo, su istanza di grazia dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Pinna fu anche tra gli organizzatori della Marcia Catania-Comiso (24/12/1982–3/1/1983), svolta per protestare contro l’installazione della base missilistica statunitense, prima azione concreta di lotta nonviolenta contro le installazioni militari in Italia.
Nel nostro paese, la leva obbligatoria è stata abolita con la legge 226 del 2004; oggi forse molti giovani non sanno neppure cosa sia l’obiezione di coscienza. La situazione è diversa dove c’è una guerra, ad esempio in Ucraina e in Russia. In questi due Stati, il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto nelle carte costituzionali, ma non è stato mai pienamente applicato. Il movimento degli obiettori di coscienza russi sta lottando per far firmare a quanti più giovani possibile il rifiuto della coscrizione: infatti, anche se è poco noto, molti russi non vogliono andare al fronte a combattere. Anche in Ucraina la situazione è assai difficile. Dal 2014, l’obiezione all’uso delle armi era riconosciuta solo per motivi religiosi; adesso, con la legge marziale, il rifiuto di combattere comporta l’accusa di tradimento della patria, o quella di essere spie russe.
Molte organizzazioni nonviolente o che si battono per il rispetto dei diritti umani sono impegnate per offrire agli obiettori russi e ucraini aiuti concreti per pagare le spese legali e perché in Europa e in Italia venga loro riconosciuto lo status di rifugiati. I giovani russi e ucraini che non vogliono combattere cercano di comunicare tra loro: disertori, renitenti alla leva, obiettori, in un fronte e nell’altro, sono oggi i testimoni più autentici del desiderio di pace.
Si spera che la loro scelta difficile, il loro lungimirante coraggio e il loro diverso amor di patria possano far iniziare negoziati per una pace giusta e duratura. E spianino la strada perché tutti i popoli rifiutino la guerra come mezzo – atroce, devastante e assassino – di risoluzione dei conflitti.
Maria D’Asaro
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